“La foiba”, il terrore rosso visto con lo sguardo delle vittime del fascismo
l nuovo libro dello scrittore sloveno di Trieste Marij Čuk affronta di petto gli “indicibili” della storia cittadina
Guardare alla foiba dal punto di vista del carnefice, o quasi. È la posizione, incomoda e disturbante per molti giuliani parlanti italiano, in cui il lettore viene collocato da “La foiba” (Mladica, 196 pp., 18 euro), ultimo libro in lingua italiana dello scrittore sloveno di Trieste Marij Čuk. Dopo “Fiamme nere”, in cui esplorava l’esplodere della violenza fascista nei confronti della comunità slovena e il rogo del Balkan, il poeta e giornalista affronta ora un altro dei momenti terribili del Novecento in città, in un romanzo che spazia dalla fine della Grande Guerra agli anni Cinquanta ma il cui fulcro narrativo poggia sul fatidico maggio del 1945.
È esperienza comune, per chi abbia un albero genealogico radicato al confine orientale, custodire il ricordo di un qualche torto subito in passato dalla propria famiglia e poi a lungo rimasto senza riconoscimento. Questa esperienza comune difficilmente diventa un collante trasversale sul nostro territorio, proprio perché non sono sempre gli stessi i torti, né quelli che li hanno perpetrati.
Ogni torto subito porta con sé, spesso, anche una specifica forma di rimozione: si rimuovono le violenze fasciste negli anni del regime, i crimini efferati dell’esercito italiano nei Balcani occupati, si rimuove l’incubo di un biennio di annessione de facto al Terzo Reich, si rimuovono i massacri delle foibe, il terrore e le politiche nazionaliste nella neonata Jugoslavia comunista.
Lo scopo di questo meccanismo d’oblio è profondamente umano: si pretende che la propria parte sia sempre immacolata per mettere al sicuro dalla Storia la memoria delle proprie vittime. Spesso si preferisce non sapere, per timore che comprendere la dinamica degli eventi che hanno travolto i propri congiunti possa corrispondere a giustificare quanto avvenuto. Il risultato sono storie di famiglia e comunità selettivamente cieche le une nei confronti delle altre.
La storia narrata in “La foiba” è quella del tormentato Riko Vodopivec, ortopedico all’Ospedale maggiore nella Trieste del post 1954. Le cause del dolore dello stimato professionista affondano nel passato, più precisamente al giorno successivo alla proclamazione delle leggi razziali da parte di Mussolini, in piazza Unità.
Quel giorno la poca partecipazione della famiglia Vodopivec (anzi Bevilacqua, da imposizione di regime) per il sanguinario annuncio del duce costa loro una visita delle camicie nere, il cui esito sarà il più efferato possibile.
La storia del giovane Riko diventa allora questione di vendetta: a incarnarne lo spirito sarà lo zio Egidij, che allo scoppiare della guerra vestirà la divisa con la stella rossa e tornerà in città nel maggio del 1945, mentre i carnefici di un tempo fuggono a nascondersi.
Inizia allora un ribaltamento della prevaricazione che il romanzo pone efficacemente in scena, mettendo il lettore di fronte a una realtà insostenibile per la retorica istituzionale sulle faccende del confine orientale: esistono nel nostro territorio memorie famigliari (non solo slovene) per cui il primo di maggio del 1945 davvero fu la liberazione della città dal terrore nazifascista, e che accolsero il terrore staliniano dell’esercito jugoslavo come una rappresaglia per quanto subito in passato.
Quando la foiba viene mostrata nel romanzo, sul bordo dell’abisso carsico stavolta non troviamo malcapitate vittime innocenti o giovani idealisti, ma torturatori fascisti (fra questi anche uno sloveno, oltre a membri della mostruosa banda Collotti) in procinto di essere giustiziati. In sostanza ciò che, per la narrazione nazionale italiana di quei fatti, non deve mai essere mostrato.
La distanza che il protagonista prende dalla foiba è quella della vittima che non vuole farsi contagiare dalla violenza dell’oppressore. Tentativo impossibile, tanto che la domanda che tormenterà Riko nel dopoguerra sarà a lungo «perché non ho sparato?», fino a quando anche per lui un’oscura provvidenza arriverà a pareggiare tutti i conti con il passato. —
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