La fine dell’uomo secondo H. G. Wells padre apocalittico della fantascienza

Einaudi ripubblica il romanzo “La macchina del tempo” che prefigura le divisioni sociali dei giorni nostri



«Stiamo rivoluzionando la letteratura, ora dobbiamo cambiare in maniera profonda anche il nostro stile di vita». Sul finire dell’epoca vittoriana Herbert George Wells, prolifico autore di romanzi di fantascienza e fervente attivista politico, iniziava con queste parole, pubblicate da una rivista radicale londinese, un saggio nel quale invitava a sovvertire le vecchie regole ottocentesche in tema di matrimonio e di rapporti di genere. L’intervento si chiudeva con un appello: lui era a disposizione di ogni giovane donna progressista pronta a condividerne il letto, “sia pure per poche ore”. L’invito non cadde nel vuoto: Wells, infatti, ricevette numerose lettere di ammiratrici disponibili a raccogliere l’invito e nel diario registrò date e luoghi di almeno dieci incontri.

Oltre a essere protagonista di relazioni amorose poco convenzionali per l’epoca, Wells componeva romanzi con un ritmo che avrebbe fatto invidia persino all’infaticabile Balzac. Per un discreto periodo, infatti, ne portò a termine ben quattro ogni anno, alternando l’analisi della realtà a lui contemporanea con l’indagine su mondi immaginari. Proprio a quest’ultima dimensione appartiene “La macchina del tempo” , romanzo del 1896 nel quale affronta alcune delle ipotesi più inquietanti dell’evoluzionismo darwiniano ora proposto dall’Einaudi, tradotto da Michele Mari (pagg. 128 pagine, Euro 18, 00). Protagonista è uno scienziato che riesce a costruire una macchina del tempo con la quale riesce a raggiungere l’anno 802701 trovando il mondo diviso in due razze umane: quella degli Eloj, creature delicate e pacifiche che amano gli svaghi, e i Morlock, pallidi e ripugnanti abitatori del sottosuolo. Dopo molte avventure lo scienziato riuscirà a proiettarsi ancora più lontano nel futuro e vedrà una terra senza più uomini, popolata solo da crostacei con “occhi maligni e bocche bramose di cibo”.

Tra i primi esempi di utopia negativa – un genere letterario successi¬vamente utilizzato con successo da Aldous Huxley e, soprattutto, da George Orwell – “La macchina del tempo” offre il dettagliato resoconto di un incubo. È ovviamente il mito del progresso a esser posto sotto accusa e, certo non a caso, Wells ripropone in maniera esplicita le tappe dell’itinerario per¬corso circa mezzo secolo prima da Charles Darwin alla volta delle Galapagos.

“Il mondo dell’anno 802701 – rivela Michele Mari in una nota introduttiva – non è dinamico ma assomiglia molto a una allegoria. I discendenti dei ricchi sono in superficie, molli e viziati dall’agio; invece quelli dei lavoratori, ottusi e animaleschi, vengono relegati sottoterra. Si tratta di una situazione densa di significati storici, sociologici, politici e psicologici da non aver quasi bisogno di articolazioni narrative: essa è già tutta nel romanzo. È poi ovvio che la parte più memorabile del libro sia quella in cui le cose stesse non esistono più, dove sopravvivono solo immensi crostacei in cui colore si confonde con le cupe venature ramate del cielo e delle acque oceaniche, scintillando tra quarzi e metalli cromati”. Gli elementi fantastici utilizzati dallo scrittore appaiono saldamente radicati nella cultura del decadentismo, Wells utilizza con grande consapevolezza alcuni elementi fondamentali della rivoluzione darwiniana. La sua parodia teologica, inoltre, è il commento ironico a un pensiero evoluzionista contaminato dal pessimismo tipico della fine del secolo. Se davvero Dio è morto, come sostengono i filosofi, coloro che vorrebbero prenderne il posto si dimostrano demiurghi pasticcioni e inefficienti.

Il doloroso disordine sintetizzato nel romanzo non mancò di lasciare il segno sulla letteratura britannica di inizio Novecento. Dopo la pubblicazione del libro, infatti, gran parte degli scenari esotici proposti dalla narrativa, fonte di meraviglia e di beatitudine per i lettori, risultarono poco credibili. Chi voleva immaginare mondi alternativi fu costretto a guardare agli spazi, dichiaratamente fittizi, della Never Land di “Peter Pan” di Barrie, all’isola che non c’è dove regna il bambino che rifiuta di crescere. I campi di battaglia del primo conflitto mondiale diedero pochi anni dopo l’ultimo colpo alla fiducia degli ottimisti a oltranza. —



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