La fine della Transalpina, l’ultima libreria di viaggio ferma per sempre a Trieste
TRIESTE Tornare a Trieste e trovare sprangata la libreria Transalpina per fine esercizio è un colpo al cuore per un giramondo. Chi viaggia parte spesso dal libro. È lì la matrice del sogno. Alcune librerie – le più profumate di orizzonti, mappe e carovane – diventano punti cardinali nella vita. Negli anni Sessanta ho cominciato da “Ulysse”, un fornitissimo bugigattolo per pochi intimi nell’isola di Saint Louis sulla Senna, a Parigi. Poi è toccato a “Notting Hill Gate” di Londra, una finestra sul mondo dove era facile incontrare l’ombra di Phileas Fogg o di David Livingstone. Subito dopo il crollo del Muro, ho fatto razzia di carte geografiche – le più belle della mia vita – a Varsavia, in un trasandato negozio di via Joana Pavla II, assieme a un Ryzsard Kapuscinski ancora giovane.
Per ultima, è toccato saziare la mia fame alla “Transalpina” di Trieste, nata nel’94, diventata in breve la mia più comoda miniera di sogni. Sulle guide, le mappe e i libri di letteratura acquistati su quegli scaffali ho costruito i miei viaggi più belli, negli anni dei feuilleton estivi per “la Repubblica”. Lì sono nati il periplo delle Alpi e degli Appennini, il viaggio a vela verso Lepanto, l’itinerario di Annibale e di Garibaldi, la traversata dell’Europa in verticale da Murmansk a Istanbul, quella dall’Italia a Gerusalemme alla ricerca dei cristiani d’Oriente e altro ancora. Viaggi che sono diventati libri e mi obbligano a riconoscere un debito di gratitudine verso i libri da cui sono nati. Un cerchio perfetto del destino.
Ebbene, mentre le mie favorite librerie di viaggio di Londra, Varsavia e Parigi – dove torno spesso – sono ancora al loro posto, a Trieste la “Transalpina” ha chiuso baracca, perché non è riuscita a resistere alla violenza del mercato negli anni di Amazon. La differenza in negativo non l’ha fatta solo l’Italia, che nella salvaguardia dei librai indipendenti è a livelli centroafricani, ma ahimè Trieste. Una città di viaggiatori, uno dei più perfetti punti di partenza e di arrivo del mondo, che però ha chiuso più di dieci librerie in vent’anni. Persino quelle di mare, sostituite da locali senz’anima o negozi di abbigliamenti di catena. E questo nella città della “Barcolana”, un evento mondiale che pure in cinquant’anni non è riuscito a partorire un evento o un festival di editoria di mare.
Sono ormai rassegnato alla chiusura dei posti che amo. Succede a una certa età, è il segno che non stai dietro ai tempi. Ma fa male lo stesso, perché sai che in certi piccoli locali si nasconde l’anima della città, quella vera, non posticcia per turisti. Posti come la panetteria-caffè di via Torino, nel cui asburgico retrobottega mi ritiravo a scrivere in pace, o la cappelleria di via Mazzini, che corrispondeva alle più demenziali richieste del viaggiatore mimetico che sono. Chiusi entrambi. Così il negozio di bici di piazza Ospedale. O quello di viale Miramare difronte alla stazione, costretto a emigrare in Slovenia, dove ora prospera con una quarantina di dipendenti. Decisamente, preferisco non parlare dei miei nascondigli preferiti, per evitare che diventino supermercati o siano sterminati dai passacarte.
Delle librerie neanche parlare. Quando ne nuore una, non la sostituisci con nulla. Non con l’ennesimo ristorante, non con il millesimo bar, non con il vuoto spinto di una beauty farm o di un parcheggio inutile. Una libreria muore e basta, e si porta via un pezzo del prestigio – se non di dignità – del luogo in cui è vissuta. Così per la mia “Transalpina” di via Torrebianca, senza la quale Trieste è meno Trieste. Uno spazio dove tutto era tremendamente locale: dal nome, legato alla nostra più gloriosa ferrovia, alla crosta burbera dei titolari, Elena Storti e Alessandro Ambrosi, dietro alla quale si nasconde tuttora una passionaccia per il mestiere, unita a dosi molto triestine di autoironia.
Davanti al cancello che spranga quel mio mondo mi accorgo di come è mutato tutto in un quarto di secolo, a cominciare dai libri e dai viaggi. Alla “Transalpina” l’epopea è cominciata con gli ultimi globe-trotter, le “Lonely Planet” solo in inglese e le ordinazioni via fax battute su “Olivetti” Lettera 32. Oggi siamo ai viaggi col navigatore, ai voli low cost, alla morte della geografia nelle scuole, alle librerie di catena, alla peste degli sconti selvaggi e al dilagare del banale via web. Per non parlare del salto generazionale. Una nuova gioventù capace di performance incredibili ma spesso più pronta a smanettare che a viaggiare sul serio. «Capita – racconta Alessandro – di veder arrivare giovani di 25 anni con la mamma, alla ricerca di libri a casaccio per la tesi di laurea».
L’umanità capace approdata a questo magazzino del mondo ha dell’inverosimile. Solo Trieste può produrne un simile assortimento. Marinai e montanari, indomiti esploratori-fai-da-te, collezionisti maniacali, cercatori di sentieri desueti, viaggiatori leggeri spesso più europei che italiani. Ma anche personaggi un po’matti e fuori dal mondo. Nel sito curato dalla libreria compare un elenco incredibile di richieste demenziali. Del tipo: «Trovo anche carta catramada per el motor de l’auto?». Oppure: «Cercassi un stradario de tuto el mondo. Sì, insoma, se devo’ndar tipo in Cile... per trovar le vie». Roba fuori di testa, tipo: «Avete guide Only Player», oppure «Il fu Mattia di Pascal?». O «Gavè bustine per far una cassetta de erba gatta?». «La ga un libro de come che se fa le lugànighe?», «Cercavo un libro su Maria Teresa... di Calcutta». E avanti, fino all’inimmaginabile «no la ga carei per la spesa?». Oppure, per chiedere una lente: «La ga quel tondo per chi che xe orbo... che se guarda drento?». O ancora: «Me servi un libro che me spieghi che questo xe un pin, questo xe un quel e questo xe un quelaltro».
La “Transalpina” è stata il terminal di una città. Della sua anima di mare e allo stesso tempo di montagna. È stata (e spero continui a essere) casa editrice: le sue guide del Carso e la sua mappa transfrontaliera al 25 mila della nostra area sono da vent’anni punto di riferimento di chiunque vuole battere i nostri sentieri. Il primo, unico e ormai introvabile portolano del porto di Trieste (che l’autore Piero Tassinari, velista che ci ha lasciato da poco, ha dedicato al suo cane) è partito dalla Transalpina, così come la guida del Sentiero alpino istriano. Tarnova, Nanos, Ciciaria, monti del Gorki Kotar, isole del Quarnero. Notti stellate in sacco a pelo, sere sul mare in Asia Minore, sentieri stepposi d’Anatolia. C’erano sempre dietro le mappe di Elena e Alex. Nella base di via Torrebianca si davano appuntamento i viaggiatori di confine, tra i suoi scaffali assistevi a conferenze di esploratori ladini, magiari, sloveni, macedoni, croati, persino occitani. Qui respiravi l’Europa, Trieste diventava Istanbul, Francoforte, Vienna, Parigi. Qui compravi mappe introvabili – Somalia, Kamchatka, montagne afghane – e cominciavi a fiutare il profumo della via della Seta, perché da sempre Trieste guarda a Est. Per il suo lavoro sulle guide straniere, la Transalpina ha appena ottenuto dal ministero dei beni culturali un premio nazionale per la traduzione.
L’indifferenza con cui Trieste ha assistito alla chiusura di questo straordinario presidio culturale non è cosa nuova. Uno dei primi provvedimenti della Camera di Commercio a gestione Paoletti è stato l’azzeramento del sostegno ai librai. Regione, Provincia e Comune hanno fatto lo stesso. E allora non meravigliamoci se Pordenone ha i mezzi per organizzare il più quotato evento letterario nazionale, se persino la sonnolenta Gorizia fa affluire decine di autori stranieri per “èStoria”, se Udine ha finanziato (finora, almeno) il Premio Terzani e nella città di Svevo non esiste nulla di simile. —
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