La difficile geopolitica del Mediterraneo un atlante che può servire ai ministri

la recensione
Un libro che non può mancare sulla scrivania del neo ministro degli Esteri italiano: si tratta dell’”Atlante geopolitico del Mediterraneo 2019” edito da Bordeaux per l’Istituto di Studi Politici San Pio V (474 pagine, 20 euro). Il volume raccoglie undici schede dedicate a Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Israele, Autorità Nazionale Palestinese, Libano, Siria, Giordania, Turchia. Per ciascun Paese viene ripercorsa la storia, la situazione attuale in campo politico, economico e sociale e le prospettive future. Il linguaggio è chiaro e l’ampia bibliografia indica le fonti alle quali sono ricorsi i ricercatori.
L’Atlante, giunto alla sesta edizione, è curato da Francesco Anghelone e Andrea Ungari. Il primo è dottore di ricerca in Storia d’Europa alla “Sapienza” di Roma, collabora con «Aspenia online», è coordinatore scientifico dell’Area di ricerca storico-politica del San Pio V ed è autore di numerose pubblicazioni su Grecia, Turchia, Cipro e Mediterraneo sud-orientale. Il secondo è professore associato di Storia contemporanea all’Università Guglielmo Marconi e docente di Teoria e Storia dei Partiti e dei Movimenti politici alla Luiss-Guido Carli. Studia la storia politica dell’Italia liberale e repubblicana e la storia militare, con una particolare attenzione al ruolo di esercito e areonautica nella Prima guerra mondiale.
Il volume si apre con la considerazione che il Mediterraneo è sempre più importante, a livello mondiale, e sempre meno sicuro. Al “mare nostrum” sono interessati i nuovi protagonisti della politica internazionale, come Cina, Russia e Paesi del Golfo Persico e i vecchi, come gli Stati Uniti. Davanti alle politiche di espansione di queste potenze grandi e piccole l’Europa è imbalsamata, uniche preoccupazioni: l’approvvigionamento energetico e i flussi migratori.
Su entrambi l’Ue non ha però una visione comune, non ha una strategia e ciò permette a Pechino di continuare imperterrita la sua penetrazione economica in Africa, vicino Oriente e Balcani. Permette alla Russia di consolidare la sua posizione sulle sponde del Mediterraneo. Permette ai Paesi del Golfo di combattere la loro guerra per il predominio dell’area contro il nemico iraniano. Per quanto riguarda gli Stati Uniti bisogna capire dove andrà a parare le politica ondivaga di Trump che è riuscito a pugnalare alla schiena gli ex alleati curdi, i principali artefici della sconfitta dello Stato Islamico, lasciando mano libera al sultano Erdogan, tanto da insinuare dubbi sulla sua lealtà anche all’alleata di sempre, Gerusalemme, stando alla stampa israeliana.
Ma per capire le mosse dei vari giocatori bisogna conoscere la loro storia. Prendiamo la Siria dove la crisi è cominciata con le proteste popolari del 2011, sulla scia delle “primavere arabe”, peraltro tutte abortite, salvo quella tunisina. La repressione di Bashar Al Assad è durissima: va in frantumi quell’equilibrio che aveva retto per decenni tra le diverse etnie e religioni. Comincia una guerra di tutti contro tutti. Bashar riesce a riconquistare la cosiddetta “Siria utile”, la parte occidentale con i principali centri urbani e la maggior parte della popolazione. Non solo, con una serie di leggi ad hoc il regime si prepara alla ricostruzione favorendo imprenditori di fiducia. Dietro Assad ci sono la Russia, che si assicura lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi e le basi sul Mediterraneo e l’Iran che pure si garantisce lo sfruttamento di siti minerari e fornisce assistenza nella ricostituzione dell’esercito siriano.
Lo scenario descritto dall’Atlante fa capire perché Erdogan spinga proprio adesso per creare una zona cuscinetto sul confine Sud della Turchia e impedire la nascita del temutissimo stato curdo: la guerra in Siria e quattro milioni di profughi con cui ricattare l’Ue sono le due carte da giocare. Ma forse ha sbagliato la mossa perché i curdi si sono alleati con Bashar che non vuole cedere il suo territorio. Come andrà a finire ce lo spiegherà il prossimo numero dell’Atlante. Degli altri dieci stati la Libia è straziata da una guerra tra bande, l’Algeria è in subbuglio e gli altri otto risentono di vari gradi di instabilità.
Pensandoci bene, questo libro starebbe molto bene anche sulle scrivanie degli uffici dell’Unione europea a Bruxelles. —
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