La corazzata Wien per una notte riemerge dalle acque di Trieste

Oggi al Civico Museo del Mare il film documentario di Claudio Sepin con lo storico Roberto Todero
Un secolo fa, la notte del 10 dicembre 1917, il Wien, corazzata per la difesa costiera della classe Monarch, venne attaccata da due Mas al comando di Luigi Rizzo mentre si trovava alla fonda nel vallone di Muggia, assieme alla gemella Budapest, e affondò in pochi minuti. Morirono o risultarono dispersi una quarantina di marinai, in parte triestini, come triestini erano molti uomini dell’equipaggio. Assieme all’affondamento delle corazzate Santo Stefano, sempre per mano di Rizzo, il 10 giugno 1918, e Viribus Unitis, nel porto di Pola, per l’incursione il 1 novembre 1918 di Raffaele Rossetti e Raffaele Paolucci, l’affondamento del Wien decretò da un lato la superiorità della Regia Marina italiana nella guerra insidiosa e d’agguato in Adriatico, dall’altro la fragilità dell’intero apparato marittimo militare austro-ungarico, che scontava la deriva di un Impero avviato al disfacimento. Per Trieste, in particolare, l’affondamento della corazzata Wien è uno di quegli episodi rimasti - come tanti altri - chiuso nel baule dei ricordi legati alla sconfitta dell’Austria-Ungheria e che adesso, a un secolo da quei fatti, possono essere raccontati e rivisitati sotto nuova luce. Se ne parlerà stasera, alle 21, al Civico Museo del Mare di Trieste, via di Campo Marzio 5, nell’ambito dell’ultimo appuntamento della rassegna “Marestate – navigando fra storia, scienza, tecnica e avventura”. Nel corso della serata sarà proiettato il film documentario autoprodotto “L’ultima notte della S.M.S. Wien”, soggetto di Fabio Tamburin e Alessandro Ormas, regia di Claudio Sepin. Seguirà un concerto bandistico del Blechbläserquintet IR 97 diretto dal “Kappelmeister” Flavio Sgubin, con una carrellata di marce della imperial regia Marina da Guerra austro-ungarica. A condurre la serata, con suoi interventi e commenti, sarà lo storico della prima Guerra mondiale Roberto Todero.


Il breve documentario di Sepin racconta con ricostruzioni in costume e la voce narrante dello stesso Todero cosa avvenne la notte del 10 dicembre 1917. Il film è centrato, con particolare e dovuta sottolineatura, sulla memoria lasciata a Trieste da chi, triestino, vestiva la divisa della Marina imperiale. Perché ricordare l’affondamento della corazzata Wien per Trieste è soprattutto questo: recupero di una memoria collettiva troppo a lungo rimasta sepolta o, letteralmente, adagiata sul fondo del mare.


Ed è in quest’ottica che proprio in questi giorni i Vigili del Fuoco Sommozzatori di Trieste su invito dell’Erpac (Ente regionale per il patrimonio culturale), e sotto la guida della Soprintendenza Archeologica, Belle arti e Paesaggio del Fvg che ha autorizzato lo scavo diretto dall’archeologa Paola Ventura, stanno operando - con la collaborazione per le riprese e i rilievi dell’operatore Ots Stefano Caressa - al non facile recupero di alcune parti del relitto: un’ordinata, cioè la sezione di una costola del grande scheletro d’acciaio sepolto nel fango del fondo marino, e una parte delle strutture dello scafo. I reperti, una volta restaurati, saranno esposti nella grande mostra internazionale “Il mare dell’intimità - L’archeologia subacquea racconta la storia dell’Adriatico”, organizzata dall’Erpac in collaborazione con il Comune di Trieste, e che aprirà i battenti al Salone degli Incanti in dicembre.


Si torna dunque a parlare della corazzata Wien, nave simbolo di una stagione drammatica della storia moderna di Trieste, seguendo il film di una vicenda consegnata ai libri di storia ma ancora in grado sollecitare, possibilmente al di là di sterili nostalgie, studi, ricerche e memorie.


Quella sera del 10 dicembre 1917 il mare era leggermente mosso ed era coperto da una densa foschia. Oltre la grande diga del vallone di Muggia le corazzate gemelle Wien e Budapest erano alla fonda, come grandi animali addormentati, dopo aver martellato un mese prima le postazioni dell'artiglieria italiana alla foce del Piave, sull'isolotto di Cortellazzo. Dopo la dodicesima battaglia dell'Isonzo che aveva scompigliato gli equilibri di forze nel golfo, le due unità imperiali erano una minaccia per i comandi delle forze armate italiane, che affidarono all'allora sottotenente di vascello Luigi Rizzo il compito di neutralizzare le due navi da difesa costiera. La sera dell'attacco i Mas 9 e 13, trainati da due torpediniere partite da Venezia, arrivarono alle 22.45 al punto stabilito in mezzo al golfo. Azionati i motori elettrici, i barchini raggiunsero nella più assoluta oscurità la testa Nord della diga. Rizzo ormeggiò, scese, e si rese conto che non c'era nessuno di guardia. Dall'altra parte della diga si sentivano voci, ma le sentinelle austriache non si accorsero degli incursori italiani. Silenziosamente i Mas raggiunsero le ostruzioni oltre la diga. Per due ore gli uomini al comando di Rizzo tagliarono sette cavi d'acciaio sotto il pelo dell'acqua, posizionati a diversi livelli. Quando mancavano due minuti alle due di notte fu aperto l'ultimo varco. I Mas si avviarono quasi alla cieca verso gli obiettivi: il Mas 9 puntò sul Wien, il 13 sul Budapest. Alle 2.32, giunto a 50 metri dalla sagoma scura dell'unità, Rizzo lanciò i siluri. Alte colonne d'acqua si alzarono nella notte. Lanciò anche il Mas 13 verso il Budapest, ma i siluri mancarono il bersaglio ed esplosero sulla banchina. Le difese austriache di terra si svegliarono, e presto fu un inferno di luci e spari. I due Mas fuggirono a tutta forza e riuscirono a mettersi in salvo.


Intanto la Wien affondava in quello stesso mare che le aveva dato i natali. Ricorderà il comandante della nave, il capitano di fregata Leopold Huber von Schebenhain: «Lo sbandamento aumentò rapidamente, e la nave si piegò a dritta, finché il ponte di coperta si trovò quasi in posizione verticale, e così perdemmo l'equilibrio e scivolammo. Dal siluramento al momento dell'affondamento trascorsero circa 5 minuti». La corazzata colò a picco portando con sé almeno 33 marinai. Per diversi giorni il mare restituì i loro corpi lungo la costa muggesana. Nelle sue memorie Alfred von Koudelka, comandante del Distretto marittimo di Trieste, racconta come andò su tutte le furie: «La notte stessa fu avviata un’indagine sul caso. Da questa risultò che i due comandanti delle navi non avevano eseguito i miei ordini. La vigilanza all’estremità delle dighe era stata considerata superflua. Il servizio di ronda non era stato messo in atto per risparmiare carbone!». A farne le spese fu il comandante della difesa navale, Marchetti, che in quei giorni era in vacanza, e al suo ritorno fu prontamente messo in pensione. Rizzo invece si guadagnò la medaglia d’oro al valor militare.


La corazzata Wien rimase coricata sul fondo del vallone di Muggia per dieci anni. Nel maggio del 1925, in occasione delle celebrazioni nella Trieste italiana per il decennale della Grande guerra, iniziò lo smantellamento del gigante d'acciaio. I palombari della ditta Serra di La Spezia effettuarono una parziale demolizione del relitto, recuperando lo sperone di prua, che fu regalato a D'Annunzio e portato al Vittoriale, e il pezzo della poppa con il nome della corazzata, oggi conservato al Museo dell'Arsenale di Venezia. Venne recuperata anche la fiancata colpita dai siluri di Rizzo, mentre alcuni frammenti vennero murati dalla Lega Nazionale su un lato della diga foranea, che da allora ha preso il nome di Rizzo. Giunto a Trieste per l'occasione, lo stesso affondatore della nave, infilato l'elmo da palombaro, scese sul fondo a vedere da vicino la preda uccisa e fatta a brani.


La demolizione del relitto proseguì nel corso del tempo, a più riprese, ad opera delle ditte Ferrazzutti, Montanari e Babich. Tra il 1953 e il 1955, i palombari dell'Impresa lavori subacquei di via San Servolo, tra cui Paolo Lavagnini e Bruno Lonza, utilizzarono anche l'esplosivo per riportare in superficie le parti ancora utilizzabili. Dopodiché lo scheletro del Wien rimase si trova ancora oggi, semisepolto nel fango, in attesa di essere di nuovo raccontato.


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