La coraggiosa Jole di Righetto migra verso “La terra promessa”

Da domani in libreria l’ultimo capitolo della trilogia dello scrittore padovano, una storia di frontiera e di profughi



«La Bibbia non è altro che una storia di migrazioni», inizia da qui l’ultimo capitolo della trilogia del padovano Matteo Righetto, “La terra promessa” (Mondadori, pagg. 220, euro 15, 30), da domani nelle librerie. Dopo “L’anima della frontiera” e “L’ultima patria”, la frontiera diviene transoceanica. Ciò che resta della famiglia veneta De Boer – la protagonista Jole e il fratello Sergio – è costretta alla fuga, a una traversata che la porterà in Messico, in montagne simili a quelle di Nevada, nella Val Brenta, la terra d’origine. La struttura del romanzo si articola in base a energici flash back, lo stile rimane chiaro e scorrevole, ma Righetto ha deciso di restituirci una trama più verticale, fatta di azioni, ma anche di molte riflessioni intorno all’idea di migrazione. Avevamo lasciato una Jole di 20 anni, bella e coraggiosa, una sorta di Kill Bill nostrana, una Jole che ci aveva abituato al suo timbro audace nella gestualità fisica, nella sua disinvoltura a cavalcare e ad armeggiare il suo fucile. Insomma una ragazza in grado di fare del contrabbando una sfida, di salvare il fratello, di cavarsela da sola tra i mille ostacoli che una frontiera comporta. Ma qui il clima da western letterario si ammorbidisce, ciò che conta, ora, è un tipo di forza interiore di fronte a un altro tipo di violenza. Perché appunto la protagonista si trova in una situazione ben più collettiva, riuscire ad arrivare vivi dall’altra parte dell’Oceano. A bordo della nave San Cristoforo ci sono altre centinaia di migranti. Siamo nel 1898, le diaspore venete sono massicce a causa di un’economia rurale molto indebolita e il sogno è l’America. Un’America del tutto simile a quell’Europa che dà speranza ai desideri degli attuali migranti. La virtù di Righetto sta nel creare questi paralleli senza alcuno sforzo, sempre sottotraccia, ma le situazioni sono talmente simili che è impossibile non immaginare, di pagina in pagina, un parallelo con la nostra epoca. Lo stile dell’autore è da sempre molto cinematografico, per cui le sensazioni sono nette, le difficoltà delle traversate, le malattie, i pericoli, la gente stipata come bestiame, le violenze, evocano immediatamente un altro tipo di vigore, mentale più che fisico, qualità fondamentale per uscirne vivi. Jole e Sergio hanno perso i genitori, una verità non svelata al piccolo fratello che in quest’ultimo romanzo emerge nella sua poliedricità caratteriale. Un personaggio cristallino, commovente, un adolescente ritratto in tutta la bellezza che l’adolescenza comporta, nelle sue illusioni e disillusioni, sempre agli apici del sentimento. Righetto sa fornirci costantemente un cambio di prospettiva in base al temperamento dei personaggi. A Jole e Sergio si unirà la famiglia Rigoni, una sorta di genitori addottivi per i due protagonisti. Non siamo più di fronte a campi d’azione scattanti, a inseguimenti e sparatorie, “La terra promessa” ci accompagna in questo lungo viaggio verso il Messico che pare una via crucis dove molto ruota intorno alla fede di una liberazione e a una speranza che «non è la certezza che qualcosa andrà bene, ma la consapevolezza che quel qualcosa debba essere fatto, comunque vada». E soprattutto al fatto che «il dolore si può alleviare solo prendendosi cura di quello altrui». La frontiera è quella che sta dentro di noi, come un lungo viaggio nel deserto, esattamente ciò che accade ai nostri protagonisti, il deserto è anche una prova di maturazione, lì dove tutto può crollare o vincere. Ma una verità è chiara, nessuno può farcela da solo e in tal senso Righetto fa un intenso affresco di ciò che realmente significa: comunità. —

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