La coppia scoppia col coronavirus nel film girato dagli attori a casa loro

Elisa Grando
Un “film domestico” girato da una vera troupe, ma secondo i dettami dello smart working: tutti collegati per via telematica, con attori che recitano dalle proprie case. È “Il giorno e la notte”, il nuovo progetto di Daniele Vicari per continuare a fare cinema ai tempi del coronavirus e raccontare cosa succede alle coppie e ai nostri sentimenti durante il lungo isolamento. Gli interpreti includono anche partner reali che, vivendo sotto lo stesso tetto, hanno potuto recitare insieme, come Vinicio Marchioni e Milena Mancini o Francesco Acquaroli e Barbara Esposito. Le musiche sono del compositore pordenonese Teho Teardo, storico collaboratore di Vicari.
Siamo lontani dallo stile fracassone con il quale Hollywood racconta le emergenze globali, ma anche dall’«instant movie”». Ne “Il giorno e la notte” implode la “pandemia in un interno”, anzi in quattro interni diversi.
«La sceneggiatura, scritta insieme ad Andrea Cedola, parte dalla sensazione che questo lockdown sia la conclusione di una paura nata nell’Occidente già a partire dall’attacco alle Torri Gemelle, dagli altri attentati terroristici, passando per i fatti del G8 di Genova (che Vicari ha raccontato nel film “Diaz . Don’t Clean Up This Blood”, ndr). Lo sviluppo dei social, intanto, ci ha abituati a rapporti surrogati col resto del mondo. Quando è arrivato il Covid-19 all’inizio apparentemente non abbiamo subito traumi, abbiamo fatto anche i gradassi dicendo che era il momento buono per leggere dei libri. Nel giro di pochissimi giorni quella sorta di entusiasmo infantile è diventato una tragedia. Quindi la sceneggiatura, sul filo latente del tragicomico, risponde alla domanda: in questa situazione, che fine fanno i nostri sentimenti?».
“Il giorno e la notte” è un esperimento inedito per il dispositivo cinema: gli attori recitano dalle loro abitazioni supervisionati in videoconferenza dal regista e da tutti i capi reparto, come la costumista e il direttore della fotografia, ognuno a sua volta a casa sua.
«Sono sempre stato convinto che l’attore sia l’80 per cento del film, in questo caso è il dominus assoluto del racconto», spiega Vicari. «L’attore accoglie il film a casa sua gestendo il rapporto tra la sua intimità e il personaggio, elabora dei costumi a partire da ciò che possiede e infine fa le inquadrature e gestisce la posizione della camera, quella di un telefonino di ultima generazione. Tutto ciò è possibile per la fiducia reciproca totale che, ancor più della tecnologia, è il vero dato interessante di questa vicenda».
Le restrizioni, insomma, diventano escamotage creativo ma questo modo di girare, afferma il regista, non può essere considerato una sostituzione futura del set: «Tutte le componenti del cinema stanno lavorando per trovare un protocollo che ci permetta di tornare sul set. Il film nasce dal paradosso del momento attuale: cineasti e artisti dello spettacolo si ritrovano a casa circondati dalle immagini, ma non le possono produrre. Ci sono 250mila famiglie ferme perché nello spettacolo, come nel giornalismo, pochi hanno un contratto stabile. Quindi ci siamo detti che dovevamo ridiventare produttori di immagini. Le sperimentazioni possono sedimentare e tornare utili anche dopo, intanto costruiamo il futuro». —
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