La combinazione letale di Sharon Stone

Compie oggi 60 anni l’attrice sex symbol di Basic Instinct: tanti film poco memorabili e guai privati
02/11/2016 Nashville, 50^ edizione dei Country Music Awards, nella foto Sharon Stone
02/11/2016 Nashville, 50^ edizione dei Country Music Awards, nella foto Sharon Stone

Correva l’anno 1992 e il prestigioso Festival di Cannes fu scosso nella sua giornata inaugurale da un evento in concorso che avrebbe fatto epoca: Basic instinct di Paul Verhoeven, thriller erotico cupo e pessimista che si rivelerà campione di incassi per tutto il decennio. Nella conferenza stampa a seguire la proiezione apparve una giovane donna di 33 anni affascinante e nervosa, vestitino simbolico e sigaretta tra le labbra, accanto a un Michael Douglas dall’aria un po’ provata e al regista con la sua solita aria da gattone sornione.

La stella di Sharon Yvonne Stone da Meadville, Pennsylvania, oggi, 10 marzo, fulgida sessantenne, iniziò a splendere da quel giorno. E fu chiaro a tutti che al di là dei luoghi comuni sul sex-symbol, le gambe accavallate, la conclamata disinibizione sessuale ecc. ecc., la signora avrebbe inciso una traccia profonda nello star-system e sull’immaginario collettivo. «Possedere insieme una vagina e un cervello crea una combinazione letale» avrebbe dichiarato in una sorta di manifesto programmatico della sua carriera, negando dunque qualunque subalternità femminile in un universo – quello hollywoodiano – blindato dai maschi, ma nel contempo mostrando consapevolezza e lucido calcolo delle proprie capacità di seduzione.

Quando il suo nome conquista i cartelloni, Sharon è un’ex modella di modeste origini irlandesi e operaie con qualche particina alle spalle: magari di lusso, come in Stardust memories di Woody Allen, o di nicchia come nell’horror laico di Wes Craven Benedizione mortale o nel thriller di Frank De Felitta Scissors, ma comunque poco più che una spalla, almeno sino a Atto di forza, sempre di Verhoeven, che nel ’90 la vede nel ruolo di sensuale ma infida consorte di Schwarzy.

Quel che però è più interessante riguarda il dopo-Basic instinct: per qualche tempo l’attrice sembra prigioniera del cliché-Catherine Tramell, la scrittrice-killer e assatanata di quel successo planetario, e ciò le causa un infortunio professionale dopo l’altro: dall’insulso Sliver di Phillip Noyce a Diabolique di Jeremiah Chechik, brutto remake de I diabolici di Clouzot. Sino all’exploit di quello che rimane forse il picco autoriale della sua carriera, Casino di Martin Scorsese (1995), nel ruolo drammaticisimo della sciagurata Ginger McKenna.

Poteva essere un nuovo inizio, con la nomination anche all’Oscar, ma non lo è: scelte sbagliate e titoli non eccelsi continuano ad allinearsi nella sua filmografia, a volte con inutile dispendio di energie, come per la condannata al braccio della morte di Difesa a oltranza di Beresford o per l’edificante Basta guardare il cielo di Peter Chelsom, prodotto proprio da quell’Harvey Weinstein che oggi Sharon auspica di vedere in galera, dopo lo scandalo delle molestie sessuali.

In quest’ultima circostanza, nel ’98, di nuovo a Cannes le chiesi se non avesse mai pensato di passare alla regia, per rendersi in qualche modo autonoma e affrancata dagli stereotipi. Con un soave sorriso mi rispose che non si sentiva all’altezza. Encomiabile modestia, ma tra un dimenticabile remake della Gloria di Cassavetes rifatto da Sidney Lumet e produzioni al limite del trash come Catwoman o Ho solo fatto a pezzi mia moglie (dove ritrova Woody Allen come attore) il suo curriculum precipita. Poi ci si mette anche la vita: due matrimoni falliti, tre figli adottivi, un aneurisma nel 2001 che la riduce in fin di vita e a seguire nel 2004 un infarto. Alcune belle occasioni, come la vamp autoironica di Broken flowers di Jim Jarmusch vengono definitivamente seppellite dal colossale fiasco di Basic instinct 2 di Michael Caton-Jones, inguardabile sequel fuori tempo massimo del film che l’aveva resa celebre. A quel punto, cinquantenne sempre bellissima ma spietatamente emarginata dal giovanilismo hollywoodiano, si sprecano i ruoli secondari magari anche gustosi, come l’editrice Ludovica di Un ragazzo d’oro del nostro Pupi Avati o, recentissima, l’apparizione in The disaster artist di James Franco, titolo non proprio incoraggiante…

Fiera sostenitrice del Partito democratico (almeno lei…), attivista per i diritti e le unioni gay, buddhista, Sharon Stone è il classico esempio di grande avvenire dietro le spalle. Non ha certo avuto le occasioni di Meryl Streep e per carità, forse nemmeno il suo poliedrico talento; ma a sessant’anni la immaginiamo ancora in attesa. Il problema è capire se il mondo del cinema così com’è oggi sia in grado di valorizzare – anziché temere – quella famosa “letale combinazione” tra parti anatomiche da lei a suo tempo sottolineata, e ancor più sorprendente in una donna avviata alla terza età.©RIPRODUZIONE RISERVATA

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