La camelia di Proust e Chanel simbolo Art Nouveau della cosmesi

Marcel Proust «non poteva che regalar camelie e metterle all'occhiello, come allora s'usava: una moda che aveva scalzato garofano e gardenia e, per lui che soffriva d'asma, quanto mai opportuna». Coco Chanel «portò per la prima volta in passerella abiti con broches di candide camelie di chiffon. Il modello era la Camellia japonica Alba plena, i cui petali sovrapposti possono persino averle suggerito il logo della doppia C incrociata. Divenne il simbolo della maison Chanel solo nel 1959 ma da quella prima apparizione, mai più sparì dalle sfilate del marchio».

Proust e Coco sono solo due delle grandi figure della letteratura e della moda, tra le tante citate dall'autrice di “La camelia” (Laterza, pagg. 179, 16 euro), Angela Borghesi, docente di Letteratura Italiana contemporanea all'Università di Milano Bicocca, per il loro stretto legame con il nobile fiore. Una passione quella per i fiori, che ha portato Borghesi a indagare il senso della presenza floreale e arborea nell'opera di Fenoglio, Zanzotto e Calvino. Infatti dal 2011 la scrittrice dirige una rubrica di botanica e letteratura, Clorofilla, sulla rivista online Doppiozero.

La camelia meritava un libro. Del resto è un fiore che può stupire con corolle sontuose ed eccentriche o con la sua complessa perfezione geometrica, monocromatica o dalle screziature più bizzarre. Ma può anche incantare con un semplice e profumato giro di petali. La sua specie conta oltre 22.000 varietà. Novità travolgente nei giardini dell'800, divenne il fiore del Risorgimento nazionale, un'icona di stile che decretò fortune letterarie, di bellezza e musicali. Ma prima dei suoi fiori bellissimi in Europa sono arrivate le foglie. Quanti sanno infatti che la pianta del tè è una camelia?

Prima ancora di diventare il simbolo della maison Chanel, Angela Borghesi ricorda che, «nel 1915 Shinzo Fukuhara, figlio del fondatore Arinobu Fukuhara, divenne presidente della Shiseido, l'azienda giapponese leader mondiale della cosmesi. Aveva studiato arte a Parigi e molto ammirato l'Art Nouveau. Fu lui a disegnare il bozzetto del ramo della camelia in un bicchiere, con un fiore dritto e uno reclinato, simbolo dell'aspirazione e della modestia: nulla di più giapponese. L'hanatsubaki (il fiore della camelia) è tutt'ora il logo di Shiseido e della sua idea di bellezza semplice, al contempo moderna e senza tempo».

Ma la camelia tocca anche il mondo del teatro e dell'opera lirica. La mitica Sarah Bernhardt, l'attrice osannata anche da Proust, più volte tra il 1896 e il 1898 portò in scena la sua Marguerite Gautier. Lo spettacolo ebbe perfino l'affiche firmata da Alphonse Mucha, il maestro dell'Art Nouveau. La protagonista de “La Dame aux camélias” è ispirata alla vicenda di Marie Duplessis, cortigiana e amante dell’autore, Alexandre Dumas, morta di tisi a soli 23 anni. Non c'è traccia di camelie ne La traviata di Verdi, ma Borghesi ricorda che il maestro le coltivava e che Giosué Carducci, amico del compositore, conosceva bene le camelie e qual era il loro ambiente favorevole, come mostra nella lirica Piemonte (1890). —

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