“La bambina con la valigia” porta l’esodo in televisione

Lunedì su Rai1 il film di Gianluca Mazzella sulla vera storia di Egea Haffner: «Il ricordo più forte sono state le riprese nell’ex campo profughi di Padriciano»

Paolo Lughi
Gli interpreti del film
Gli interpreti del film

Settantasei anni dopo il classico “La città dolente” (1949) di Mario Bonnard (co-sceneggiato da Fellini), la storia del distacco di Pola dall’Italia torna finalmente sugli schermi col suo bagaglio di struggenti memorie, grazie a un film che rievoca quel dramma e quell’esodo con gli occhi di una bambina prima, e di una ragazza poi. Si tratta di “La bambina con la valigia” diretto da Gianluca Mazzella (“Libera”) e sceneggiato da Andrea Porporati, una produzione Clemart con Rai Fiction che andrà in onda su Ra1 in prima serata lunedì 10 febbraio, Giorno del Ricordo.

La vicenda è quella vera della polesana Egea Haffner, una vita raccontata dalla stessa testimone (con Gigliola Alvisi) nel romanzo omonimo Piemme di cui il film è un libero adattamento. Ma prima del libro e del film, Egea era stata protagonista di una foto iconica dell’esodo istriano, quella della bambina ritratta con un vestitino a quadretti davanti alla casa che stava lasciando, con la scritta “Esule giuliana” sulla sua piccola valigia. Era l’estate del 1946 ed Egea, che aveva quattro anni, fuggiva da Pola insieme alla famiglia benestante, ma senza il padre infoibato dai titini. E quella famosa foto è diventata poi il manifesto di una mostra sull’esodo al Museo della Guerra di Rovereto.

Egea (che nel film da ragazza è Sinéad Thornhill e da bambina Petra Bevilacqua) ha oggi 83 anni e vive a Rovereto, ma dopo l’abbandono di Pola aveva vissuto l’adolescenza a Bolzano con la nonna (nel film Sandra Ceccarelli) e la zia (Sara Lazzaro). Invece la madre (Claudia Vismara), donna indipendente in rotta con la nonna classista e tradizionalista, aveva voluto abitare a Cagliari per trovare una propria autonomia, prima di chiedere a Egea di tornare nuovamente a vivere con lei. Oltre che sul tema dello sradicamento, proprio sulle relazioni e le vicissitudini emotive e sociali di queste quattro donne, più o meno amiche o nemiche, e a loro modo tutte “geniali”, si snoda il film “La bambina con la valigia”, di cui ci parla il regista Gianluca Mazzella raggiunto al telefono.

In che modo si è avvicinato a questa storia?

«Quando sono stato contattato per dirigere “La bambina con la valigia” conoscevo il contesto e i fatti storici, ma non questa vicenda in particolare. Mi sono documentato e ho letto il libro, che mi ha subito emozionato. Il punto di vista di Egea, che poi ho avuto l’onore di incontrare, restituisce l’esatta percezione di cosa abbia significato l’esodo istriano sulla pelle di chi lo ha vissuto in prima persona. Ho pensato di raccontare la sua esperienza e quella della sua famiglia con un film non solo storico, ma anche attento agli stati d’animo, approfondendo le emozioni e le psicologie, tenendo conto dell’importante punto di vista della protagonista. Ho avuto un approccio intimista e minimalista alla vicenda».

Come si è svolto il lavoro con attrici e attori?

«Per i motivi detti, è un film dove la recitazione conta moltissimo. Ma anche se conoscevo personalmente il solo Andrea Bosca, che interpreta il breve ruolo del padre, tutto è andato nel migliore dei modi, con una lavorazione che è stata molto armonica, tanto che il gruppo di interpreti ancora si frequenta».

Quali sono le caratteristiche dei personaggi femminili?

«Intorno alla protagonista Egea ruotano tre donne molto diverse tra loro, ognuna con un carattere particolare. La madre è una donna moderna, che si sente libera dai vincoli tradizionali. La nonna è invece una figura rigida, legata alle vecchie regole che vuole testardamente ma coraggiosamente difendere. La zia sta in mezzo, benché non sia madre è la figura paradossalmente più materna, è la classica mediatrice. Tutte e tre diventano così simboli di caratteri a cui per loro è difficile rinunciare. E sono tutte scrutate dal punto di vista di Egea, che ama tutte pur nella loro diversità. È stato bellissimo vedere come le attrici si siano confrontate l’una con l’altra, e come si siano immedesimate nei rispettivi personaggi».

Quali sono stati i luoghi delle riprese?

«Abbiamo girato un giorno a Pola, con l’anfiteatro romano sullo sfondo, perché si trattava di un segno imprescindibile. Poi Pola e Bolzano sono state ambientate anche a Gorizia, Grado e nei dintorni di Trieste, alla spiaggia dei Filtri di Aurisina. Gli interni li abbiamo girati invece a Roma. Per me si è trattato di un bel ritorno a Trieste, dove ho diretto la serie “Libera”. Nella vostra regione si lavora benissimo, si sta benissimo, la Film Commission è sempre efficiente. Ma stavolta il mio ricordo più forte è quello delle riprese nel vero magazzino dell’esodo nel centro profughi di Padriciano. Essere lì, vivere e raccontare quell’ambiente è stato molto emozionante». —

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