Ketty Burba, l’attrice che per amore di Trieste disse no a Visconti
TRIESTE. Una foto ricordo da spedire alla mamma lontana che si trasforma inaspettatamente in un passaporto per la celebrità. Sembrano i primi fotogrammi di una commedia sofisticata ma è successo realmente a Ketty Burba, ospite del festival I Mille Occhi per la sua partecipazione al film “Ombre su Trieste”. Prima Miss Trieste della storia del concorso, terza a Miss Italia nello stesso anno (1951), la popolarità di Ketty Burba in quegli anni crebbe fino a una chiamata dal mondo del cinema che però la giovane reginetta non volle raccogliere, rifiutando, tra gli altri, un provino per una pellicola allora in preparazione: quel “Bellissima” di Luchino Visconti con Anna Magnani che avrebbe guadagnato un posto d'onore nella storia del cinema.
Una vicenda inconsueta che prende il via dal ritorno a Trieste dalla Scozia, dove la madre vedova si era risposata. «Ritornare nella mia città dopo il grigiore di Edimburgo fu una liberazione – racconta -: mi sentivo oppressa, quell'oscurità mi faceva soffrire». Una rinascita cui contribuisce la coppia di zii che l'accoglie e con i quali la giovane Ketty va a vivere. «Una coppia moderna, senza figli, soprattutto molto stimolante».
Complice il buon inglese imparato all’estero, il primo impiego è a Banne alla caserma degli americani fino ad approdare alla valigeria Gesess di Corso Italia. Esattamente di fronte al celebre negozio di borsette c'era Ceretti, lo storico fotografo: di lì l'idea di farsi scattare alcune foto da inviare in Scozia alla mamma. «Fu allora che, andandole a ritirare, mi dissero che era passato un giornalista del “Piccolo” a cercare volti nuovi in occasione del concorso di Miss Trieste».
Detto fatto: prima fasciata in un lungo abito di raso bianco cucito dalla zia sarta, poi stretta in un castigatissimo costume intero, Ketty si presenta davanti alla giuria, tra cui Delia Scala e il produttore Forges Davanzati, all'elegantissimo “Piccolo Mondo”. «Ho iniziato a stare male subito, ero preoccupata di sfilare e avevo vergogna di non farcela». Ma invece del temuto capitombolo, arriva inaspettata l'incoronazione, proclamata sfondando «più impacciata che mai» un telone dipinto con un'alabarda.
Dai concorsi di bellezza al cinema il passo è breve e Ketty viene chiamata, oltre che per il film tutto triestino “Ombre a Trieste”, anche per “L'eroe sono io!” di C.L.Bragaglia con Renato Rascel, Delia Scala e Marisa Merlini. «Un giorno passeggiando per piazza Oberdan scorgo, in un cinema che proietta “Ombre a Trieste”, un grande cartellone dove c'ero io, fotografata in piedi su uno scoglio: non mi sono riconosciuta, perchè ero venuta davvero bene. Forse ha contato il fatto che in famiglia in generale mi criticavano più che valorizzarmi. Cosa ricordo del film? Un gran freddo e una nuotata a novembre a Castelreggio. A Roma, l'anno prima, stavano per girare “Bellissima” e mi fu proposto un provino: ho rifiutato, volevo tornare a Trieste, non volevo stare lontana dalla mia città».
Se paragonato alla smania di apparire imperante oggi, la ritrosia di Ketty Burba può sembrare paradossale. «Non è che disprezzassi l'ambiente ma mi sentivo estranea, totalmente fuori contesto: la gente che mi circondava non era la “mia” gente, non lo sentivo come il mio mestiere. Sarà che non ero ambiziosa, e troppo sola per prendere determinate decisioni». Idem per la parentesi lavorativa per i fotoromanzi o per i commercial delle marche più in voga. «Per “Lancio” ho fatto diversi fotoromanzi, per lo spot della “Palmolive” ero un'impiegata che usciva a tarda ora dall'ufficio e si soffermava a fantasticare di fronte a un cartellone con l'attrice francese Martine Carol che si faceva il bagno. Magari poi il lavoro era anche divertente, e mi pagavano pure, ma quando mi chiamavano ci andavo sempre di malavoglia». Fino all'incontro con un milanese vulcanico, descritto come «un mix di Gian Maria Volontè e Alberto Lupo», che diventerà suo marito e che, come spesso accade in questi casi, «amava alla follia proprio l'ambiente che io rifuggivo». «Mi sono sposata trasferendomi a Milano, quindi a Parma dove vivo oggi – conclude - Non ho rimpianti per non aver seguito quella strada, tanto che i miei due figli credo nemmeno sappiano di questo mio passato».
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