Joe R. Lansdale a Trieste «Che bello avere paura»
TRIESTE Grandi scrittori al cinema. Proseguendo la tradizione letteraria nelle giurie del Festival della fantascienza, con Umberto Eco e Mario Soldati negli anni '60, e più di recente Sterling, Pierre Bordage e Lucius Shepard, Science+Fiction ha nominato quest'anno l'americano Joe R. Lansdale presidente di giuria.
Autore di venti romanzi, amato anche in Italia per "La notte dei drive-in" e "Il giorno dei dinosauri" (Urania), Lansdale è uno dei più geniali autori di genere contemporanei. In attesa della masterclass che terrà domenica, moderata dallo scrittore Tullio Avoledo (alle 17, Sala Tripcovich), lo abbiamo incontrato, cordiale e loquace, in una pausa dei lavori della giuria.
All’apertura del festival il pubblico le ha tributato un’ovazione. Sapeva che Trieste, dove Joyce è vissuto, è soprannominata "la città di carta"?
«Sì, conoscevo Trieste ed ero già venuto qui nel 2003 come tappa iniziale del tour italiano di presentazione della prima serie di Hap & Léonard. All'epoca ero già conosciuto in Italia per il primo "Drive-In", che è stato il libro che ha decisamente esteso il mio pubblico. Ricordo che ho trovato i lettori triestini e in generale italiani molto colti e preparati, capaci di notare aspetti del mio lavoro che il pubblico americano non coglieva. Apprezzo e conosco scrittori italiani come Ammaniti e Carlotto, che proprio questo pomeriggio (ieri, ndr) andrò a salutare qui a Trieste alla presentazione del suo ultimo libro. La prima volta l'ho incontrato a Piacenza e poi curiosamente ci siamo incrociati più volte per caso. Sono molto legato all'Italia, gli ultimi tre libri li ho scritti qui, tra Roma, Cortona e Piacenza. In questo periodo sto scrivendo anche il prossimo, "Paradise Sky", che uscirà nel 2016».
Il cinema ha influenzato il suo lavoro di scrittore?
«Non ci sono singoli miei libri che sono stati influenzati da singoli film, ma si può dire che in generale il cinema, come il fumetto, ha prodotto un forte effetto sul mio lavoro. Ad esempio ritengo un modello i dialoghi dei grandi film noir americani, come "Le catene della colpa" ('47) con Mitchum, o di un capolavoro come "Casablanca", asciutti, precisi, efficaci. O i dialoghi che si sovrappongono veloci nei film di Howard Hawks, come "Susanna" ('38). Adoro il cinema classico statunitense. Un film come "Il buio oltre la siepe" ('62) di Mulligan mi ha colpito quanto il romanzo di Harper Lee da cui è tratto. Amo le inquadrature di John Ford simili a grandi dipinti, la fantascienza di Robert Wise e i western di Peckinpah, i film indipendenti di John Sayles e le sceneggiature di William Goldman come "Butch Cassidy", come i suoi romanzi».
E i B-Movies così legati al suo ciclo "Drive-In"?
«Certo, naturalmente li adoro, e in particolare quelli di Roger Corman. Era un regista che sapeva muovere la cinepresa in maniera unica, riuscendo a raccontare la guerra di Corea con due soldi, due tizi e una roccia! Stessa cosa si può dire di Mario Bava per film come "I tre volti della paura". Per tutte queste ragioni ho assorbito una sensibilità cinematografica di cui il mio lavoro certamente risente. Ritengo tuttavia che i romanzi riescano meglio dei film a toccare sia l'intelletto, sia l'emozione. Ma il cinema rimane la più formidabile esperienza collettiva. È più facile trovare persone che hanno visto lo stesso film, rispetto a persone che hanno letto lo stesso libro».
Lei ha praticato l'horror, la fantascienza e il mistery. Perché sono i generi più longevi?
«Sono generi che esprimono paure profonde e primitive. Il pubblico ama relazionarsi con queste paure, ma non in maniera diretta, e così horror e sci-fi sono un modo di incontrarle sotto forma di evasione, con una buona dose di immaginazione».
Ci dica qualcosa di "Honkytonk Samurai", la nuova avventura di Hap e Léonard in uscita per Einaudi.
«Sarò nuovamente in Italia fra un mese a presentarla. Posso solo dire che ci saranno molti elementi di sorpresa rispetto alle precedenti puntate del ciclo. Ci saranno notevoli cambiamenti nei personaggi e anche una sorpresa che non si aspetta nessuno».
Lo storico inglese Ian Mortimer ha detto che oggi la nave della democrazia e del welfare sta affondando con la crisi dei migranti. La Slovenia ha comprato filo spinato. Che ne pensa?
«Non sono d'accordo con Mortimer. I buchi della nave possono essere tappati e le cose possono essere migliorate. Anche negli Usa si parla sempre di muri per i migranti a proposito del Messico, ed è una cosa folle. È normale che ci sia paura, la tecnologia elimina posti di lavoro e spesso accade che i poveri votano per i ricchi, per pagliacci come Donald Trump, perché sperano di diventare come loro. Ma negli Usa ci sono stati grandi progressi in questi anni, Obama è stato eletto due volte e ha lavorato bene. Ma le persone, non so perché, tendono a dimenticarsi in fretta del lato positivo delle cose».
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