Jeanne e l’amore maledetto per Modì nella comune sregolata di Montmartre

Cristina Bongiorno

Si faceva chiamare Modì, in parte per la pronuncia francese che tronca le parole, in parte per l’assonanza con “peintre maudit”, ‘pittore maledetto’. E davvero per la giovanissima amante Jeanne Hébuterne, Amedeo Modigliani si rivelerà una maledizione, sacrificata sull’altare di una divorante passione che Grazia Pulvirenti ripercorre in “Non dipingerai i miei occhi” (Jouvence, pagg. 144, euro 12). Meditato romanzo d’esordio per la germanista e traduttrice, che per sua ammissione lo ha lasciato decantare tre lustri scegliendo voce, fisionomia e un ruolo niente affatto gregario per Jeanne, finora solo una farfalla fissata dallo spillo sul fondale delle vicende biografiche e artistiche del pittore che dalla natia Livorno fugge a Parigi nel 1906, a 22 anni.

E per coincidenza sarà a 22 anni, che la bellissima, volitiva eppure vulnerabile Jeanne, si getterà dalla finestra il giorno successivo la morte di Modigliani stroncato da una meningite tubercolare, entrambi distrutti da una vita dissipata dove l’unica regola vigente era quella della sregolatezza.

E’ la Parigi delle avanguardie, della fame vera, stretta compagna della fame di estrosità anarchiche perseguite costi quel che costi, delle fiammate che sprigionano improvvise illuminazioni e poi si consumano magari nell’abiezione di gesti inconsulti; ma assolutamente tutti fanno di tutto purché i sentimenti, e di conseguenza la creatività, non imputridiscano nella tomba di forme stereotipate. Litigi e sodalizi intinti nell’alcol e nella droga, come mezzo mai come fine, ma anche in un ‘café creme’, di frequente l’unico pasto della giornata bohémien.

La Pulvirenti restituisce, a pennellate di dettagli, l’atmosfera fisica e psicologica della comune di artisti squattrinati di Montmartre dove gravitano, per citare solo alcuni pittori, Chaim Soutine, Maurice Utrillo, Moise Kisling, Diego Rivera, Pablo Picasso nel suo periodo blu senza acquirenti, Marc Chagall e Tsuguharu Foujita il giapponese che suole sedurre con orientali gesti sornioni, non a lungo amante di Jeanne, che le attribuirà il nomignolo di Noix de Coco, “per la pelle bianca come il latte e i capelli come il suo guscio ramato”. Prima che Jeanne, studentessa di belle arti e pittrice talentuosa sfinisca il suo cuore per l’italiano, più vecchio di lei di 14 anni, che la immortala in moltissime tele.

Di Modigliani si diceva che nei suoi ritratti ti “spogliava l’anima”. Eppure “Non dipingerai i miei occhi”, esclama Jeanne reiterando la ribellione, attraverso la nuova vita che la scrittrice le conferisce. Jeanne, nella finzione della Pulvirenti, gli resta impenetrabile, preclusi i suoi occhi “uno specchio opaco, due ferite blu”, mentre nella realtà al genio di Modigliani comincia ad arridere il successo economico.

Lui lo si incontra non più trasandato, la sciarpa rossa sostituita con un bellissimo foulard di seta, si è fatto rimettere i due incisivi mancanti. Nel maggio del 1919, poco meno di un anno prima della loro morte, si specchieranno nel modo più sublime possibile: nei ritratti l’uno dell’altra e di tutti e due assieme. —

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