James Senese a Udine «Pino Daniele, un fratello»

Stasera l’11° edizione di Note Nuove di Euritmica ospita, al Teatro Palamostre di Udine, James Senese con Napoli Centrale in un concerto che celebra i 50 anni di carriera (dalle 21). Senese, voce e sax, sarà accompagnato dalla formazione storica dei Napoli Centrale: Ernesto Vitolo alle tastiere, Gigi De Rienzo al basso e Agostino Marangolo alla batteria, la stessa band che registrò “Nero a metà” di Pino Daniele.
Senese, che effetto le fa essere definito “leggenda”, “mito”, “icona”?
«Provo ancora delle emozioni. Ma poi io vivo una vita molto normale, quindi i complimenti da una parte mi piacciono e da una parte no».
Che concerto portate?
«Partiremo dagli anni ’70 per arrivare fino a oggi, la nostra musica non si è mai fermata e io mi ritengo un precursore. Dal vivo vedrete tutto quello che eravamo e quello che siamo ancora oggi, tutto quello che abbiamo seminato».
Nel 2016 «’O Sanghe» ha vinto il Premio Tenco per l’album in dialetto. Quanto è stata importante la vostra scelta linguistica?
«Il dialetto è un suono. Se ti piace un suono non c’è bisogno di capire parola per parola. Da sempre si ascolta musica americana, anche senza capire le parole. Noi diciamo cose importanti, anche estreme però usiamo un linguaggio universale».
La parola “sanghe” è ricorrente nelle sue canzoni...
«Il sangue è quella perversione che c’è nei nostri sentimenti. A Napoli c’è il sangue di San Gennaro, c’è “o sanghe amaro” che mi sono fatto per tutto quello che vedo. È il bene e il male, il sangue è tutto».
Nel 1987 si esibì all’Apollo Theater di New York, con James Brown tra gli altri.
«Memorabile. Gli americani non mi hanno preso per napoletano, sebbene abbia cantato in dialetto. Si vede che il colore è dominante, hanno pensato fossi di Chicago».
Si dice che fu lei a “scoprire” Pino Daniele.
«Era un fratello, lui è nato con Napoli Centrale e da lì non ci siamo più lasciati. Ci sentivamo 5-6 volte al mese e ci dicevamo tutto, so i suoi segreti, e non li dirò mai, ovviamente».
E l’incontro con Massimo Troisi?
«Venne a prendermi un autista che mi disse: “C’è un amico che ti vuol vedere”. Mi portò a casa di Troisi che mi fece trovare una tavola imbandita di aragoste. Disse: Tu queste devi mangiare”. Giuro che non ho mai capito perché. Questo è il ricordo più grande che ho di lui».
Nel 2010 è finito nel film musicale di John Turturro, “Passione”.
«Abbiamo trattato una parte della cultura napoletana, ma non abbiamo detto tutto: un 50% di verità».
Il nuovo album in uscita?
«Abbiamo registrato i brani, li stiamo mettendo assieme, dopo 22 lp, questa volta sarà un doppio cd live».
Cosa ne pensa della serie “Gomorra” ?
«Non l’ho mai vista e non la voglio vedere. È atroce parlare di una piccola entità che ci dà fastidio e farla diventare così popolare. Assurdo, Napoli non è quello, è una piccola percentuale che noi non stimiamo, che per me è uno schifo, quello è il male e c’è in tutto il mondo ma noi non ne vogliamo parlare».
Avete inventato il “neapolitan power”. Oggi c’è qualcosa di nuovo?
«Ci siamo noi che siamo avanti, siamo la rivoluzione vera e propria, non c’è nessuno estremo come noi. Forse dovremo aspettare altri cinquant’anni per una nuova onda».
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