Italo Svevo giornalista si burlava della lentezza del tramway di Servola

Esce a cura di Brian Moloney il quarto tomo dell’edizione nazionale delle opere in cui emerge  la necessità dell’autore della Coscienza di Zeno di affinare anche sui quotidiani la sua scrittura. L’insieme dei testi spazia dalla riflessione filosofica all’indagine saggistica, Nelle pagine del diario lo sconforto per il romanzo “Una vita” da egli stesso definito “una porcheria” 

TRIESTE. Scrivere, scrivere sempre, per tutta la vita, ma farlo quasi di nascosto. Uno dei crucci di Italo Svevo è stato quello di non potersi dare pienamente alla sua passione per la letteratura. Per eludere i rimproveri di un padre rigoroso che aveva la testa solo per gli affari e attribuiva poca importanza alla cultura in generale, Svevo scappava nella Biblioteca civica di piazza Hortis, dove poteva leggere e studiare in pace. Ritagliarsi uno spazio dove pensare e scrivere era per lui una piccola ma fondamentale cellula di resistenza in un mondo che lo aveva voluto prima bancario e poi uomo d’affari.

Ma anche se la sua veste per così dire commerciale la indossava bene, rimase in lui fino alla tardiva consacrazione la convinzione di possedere un talento sprecato. «A una data età – scrisse in un articolo pubblicato sull’Indipendente – nessuno di noi è più quello cui madre natura lo destinava; si ritrova con un carattere curvo come una pianta che avrebbe voluto seguire la direzione che segnalava la radice, ma che deviò per farsi strada attraverso a pietre che le chiudevano il passaggio».

Il suo impiego alla Banca Union gli andava tutto sommato a genio, perché gli lasciava tempo per scrivere. Cosa che faceva anche nelle pause d’ufficio, come confidò anni dopo la moglie Livia. Ma rimase sempre diviso tra Ettore Schmitz e Italo Svevo, tra l’anima borghese e quella artistica.

Per dare sfogo alla sua tensione letteraria si avvicinò al giornalismo, che cominciò a praticare all’Indipendente, un giornale di propaganda e cultura fondato nel 1877 che si rivolgeva ad un pubblico di élite. Un giornale di nicchia, che tirava tra le 500 e le 1000 copie e sul quale Svevo scrisse il suo primo articolo – buttandolo giù in pochi minuti, secondo la testimonianza del fratello Elio – a proposito del dibattito allora molto acceso, se fosse il caso di rappresentare o meno a Trieste “Il Mercante di Venezia”.

Molti temevano che la figura di Shylock avrebbe potuto ferire la sensibilità religiosa e razziale della componente ebraica, ma Svevo si schierò per la tolleranza e contro il settarismo, firmando “l’articolo più manifestamente ebraico che abbia mai scritto”. Così scrive Brian Moloney nell’introduzione alla raccolta da lui curata della più completa raccolta degli “Scritti giornalistici, saggi postumi, appunti sparsi e pagine autobiografiche di Italo Svevo”, pubblicata nel quarto volume dell’edizione nazionale delle opere di Svevo edita dalle Edizioni di storia e letteratura (pagg.628, Euro 65,00).

I testi, eterogenei per natura e storia editoriale, attraversano tutto l’arco della carriera letteraria dello scrittore e sono distribuiti in quattro categorie: articoli di giornale e scritti d’occasione; saggi pubblicati postumi; la conferenza su James Joyce (e i relativi frammenti); scritti autobiografici e appunti sparsi. Quest’ultima sezione raccoglie cronache familiari, pagine di diario, frammenti, dediche, massime e aforismi. Segue un’appendice con gli scritti di attribuzione incerta.

La sezione delle Testimonianze, oltre a presentare specifiche note esegetiche, tenute distinte da quelle dell’apparato tipico dell’edizione critica, costituisce un’ulteriore guida per il lettore, mentre la Nota ai testi fornisce una descrizione dettagliata dei testimoni e chiarisce i criteri di edizione dei testi pubblicati. L’insieme degli scritti raccolti nel volume forma un mosaico in cui Svevo indirizza la penna alla riflessione filosofica, alla critica letteraria, alla indagine saggistica fino alla confidenza privata in cui il tono diventa delicato brusio, delle cronache familiari.

Da questo complesso, sottolinea Moloney, emergono alcune linee: quella linguistica, in cui Svevo contempla le deficienze della propria lingua, e quella filosofica, su cui costruisce la propria impalcatura intellettuale. Un fiume di parole, una produzione sterminata in cui qua e là appaiono i frammenti di quello che sarà uno dei suoi tormentoni e che poi confluirà nella “Coscienza”, il rapporto col fumo. Nelle lettere a Livia appena conosciuta si propone di smettere di fumare: “Fumai subito una sigaretta per marcare l’ora e feci il proposito ferreo di sacrificare a te, mia Livia, questo vizio”.

E nello scherzoso “contratto nuziale stipulato addì 10 luglio 1900 ore 4 pomeridiane”, elenca i punti dell’accordo: “1. Ettore promette di non fumare. 2. Livia di fare buoni pranzi con maggior quantità di patate fritte”. Alle pagine del Diario affida invece i momenti di sconforto. Il 12 dicembre 1889 scrive, riferendosi a’Una vita’: “Due anni or sono precisi cominciai quel romanzo che doveva essere Dio sa cosa. È invece una porcheria che finirà col restarmi sullo stomaco. La mia forza era sempre la speranza e il male si è che anche quella va affievolendosi”.

Uno Svevo brillante e ironico sfavilla nella serie di articoli “Noi del tramway di Servola” scritti per “La Nazione”, un giornale che egli stesso contribuì a fondare e che uscì a partire dal novembre 1918 e sembra di sentire la voce ironica di Zeno Cosini commentare il servizio tramviario. Svevo usava spesso il tram per andare da villa Veneziani, che si trovava accanto alla fabbrica di vernici, in centro città e si burlava della lentezza del servizio: “Noi si aveva delle comunicazioni più frequenti che non fra Nuova York e San Francisco; due città più importanti di Servola e anche di Trieste. Perciò non bisogna lagnarsi”.
 

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