Isabel Allende: «Un amore segreto dura per sempre»

di FEDERICA MANZON
«L'età, di per sé, non rende nessuno migliore né più saggio, semplicemente accentua ciò che si è sempre stati». Così pensano i personaggi dell'ultimo romanzo di Isabel Allende (nella foto di Penni Gladstone/Corbis)"L'amante giapponese" (Feltrinelli, pagg. 281 pp, Euro 18,00) e così crede anche l'autrice, arrivata ieri a Milano ad inaugurare il festival letterario Bookcity 2015 e a ricevere il prestigioso riconoscimento del Sigillo della città.
Isabel Allende al ventitreesimo romanzo non teme nessun tabù. La sua travagliata biografia le ha insegnato ad affrontare qualsiasi prova e in queste nuove pagine prende di petto uno dei temi più scabrosi della società contemporanea: la vecchiaia. In un mondo ossessionato dall'illusione di immortalità della giovinezza e dalla plasticità dei corpi, i suoi personaggi sono gli abitanti di Lark House, una residenza per la terza età nella periferia di Berkley, dove un nuovo arrivato sull'ottantina può sembrare un giovincello desiderabile agli occhi delle dame centenarie. «Non è un romanzo triste, anzi, l'ho scritto con un'allegria infinita» racconta Isabel Allende. «Mi ha permesso di scrivere dei temi che più mi interessano in questo momento: l'amore romantico, la perdita, la morte».
Come nel suo romanzo d'esordio "La casa degli spiriti" anche qui al centro c'è un'intensa storia d'amore ostacolata dalle vicende politiche...
«Mi interessa moltissimo raccontare i sentimenti e soprattutto l'amore - risponde la scrittrice -. Credo che un amore appassionato, se segreto e diciamo anche clandestino, possa durare tutta la vita. Invece in una coppia regolare la tensione e il sentimento sono presto deteriorati dalla routine, diventano meno interessanti da raccontare per uno scrittore. Alma e Ichimei, i miei protagonisti, sono divisi dalla seconda guerra mondiale anche se entrambi vivono a San Francisco, lontano dal fronte».
Perché ha deciso di raccontare una storia poco nota come quella delle persecuzioni ai giapponesi d'America?
«Documentandomi sul personaggio di Ichimei, un ragazzino californiano nato da genitori giapponesi, ho dovuto studiare circa ottant'anni di storia, e mi sono chiesta: cos'è accaduto ai giapponesi d'America dopo Pearl Harbour? Ho scoperto che più di centoventimila di loro sono stati internati in campi di concentramento per quattro anni. Erano i negozianti, i giardinieri, i domestici di molte famiglie americane, erano persone tranquille e ben inserite, e tutto a un tratto li si vedeva sfilare come profughi».
Torna nella narrazione il tema dell'esilio e della fuga in un paese straniero, cosa pensa dei recenti eventi di cronaca?
«Mi addolorano moltissimo. So cosa significhi essere rifugiati, e so anche che per centinaia di anni le popolazioni hanno continuato a fuggire da guerre e dittature in Asia, in Africa, in America Latina e il mondo sembrava indifferente, ora che i profughi stanno invadendo l'Europa si è accesa l'attenzione».
A Lark House i residenti sono divisi in vecchi e anziani, qual è la differenza?
«Io sono vecchia invece mia madre, che ha più di novant'anni, è anziana. Quando si è anziani si diventa dipendenti, mentre da vecchi si conserva intatta la propria autonomia, si è solamente più maturi. L'amore, quello è straordinario a tutte le età».
Nel romanzo tutti i personaggi si amano senza pregiudizi. Il sesso è ancora un tema proibito?
«Al contrario, siamo inondati da sesso ovunque. Ma a me interessa piuttosto raccontare l'erotismo esplicito, non il sesso esplicito, perché credo che nella pagina scritta sia più importante il sentimento che la meccanica del rapporto».
Anche questa volta la protagonista è una donna...
«Mi viene facile raccontare le donne, perché ne conosco molte che hanno caratteri da romanzo, sono coraggiose, intraprendenti, capaci di grandi gesti e di sopravvivere agli ostacoli più duri. Sono loro a ispirarmi. Certo, ho una difficoltà: le donne alte, belle, bionde... di solito le faccio morire a pagina sessanta».
Alma racconta al nipote Seth la storia della propria famiglia. Quanto è stato importante per la sua formazione di scrittrice il legame con le storie familiari?
«Non ricordo di aver mai pensato di voler diventare una scrittrice, semplicemente è capitato, e per ragioni legate alla mia famiglia. Nel 1981 ero in esilio in Venezuela quando ci raggiunse una telefonata che diceva che mio nonno in Cile stava morendo. Fu in quel momento che decisi di scrivere una lunga lettera per lui, quella lettera poi è diventato il mio primo libro e ha aperto la strada a tutti i miei romanzi successivi».
Esiste qualcosa che possiamo chiamare letteratura sudamericana o è solo una tassonomia di noi europei?
«Io mi sento una scrittrice latinoamericana, anche se da molti anni vivo negli Stati Uniti e quindi vivo in inglese. Ma appartengo alla prima generazione di lettori che si è formata leggendo gli autori sudamericani, perché esplodevano proprio in quegli anni, c'era una grande fioritura narrativa e questo ha sicuramente portato alla definizione di un fenomeno come "letteratura sudamericana"».
Una delle caratteristiche di questa narrativa è il realismo magico, cosa rappresenta per lei?
«Per me è il mondo delle presenze eteree, degli spiriti, che compaiono in modo imprevedibile anche in questo romanzo. Il fantasmatico è tutto ciò che c'è di misterioso nella vita, quello che non possiamo né capire né controllare, le coincidenze, i sogni premonitori, le emozioni. Sono convinta che gli spiriti siano il motore delle storie e la parte più ricca della vita».
"L'amate giapponese" è però forse anche uno dei più "americani" dei suoi romanzi...
«È stata la storia a esigerlo, volevo raccontare un luogo preciso (Lark House esiste) e quei precisi sentimenti e per questo avevo bisogno di personaggi come Alma, Ichimei, Irina, tutti al contempo americani e stranieri».
I residenti di Lark House non sono contenti di Obama, lei?
«Credo molto in lui, e penso che il giudizio sul suo governo sia viziato dalle aspettative altissime che hanno accompagnato il suo mandato. Sfortunatamente si è trovato un'opposizione feroce e brutale, e questo ha limitato le sue riforme. Ma è grazie a lui che la questione razziale è un tema di discussione, finalmente. La storia gli darà ragione».
Pensa a un presidente latinoamericano, o donna?
«Latinoamericano è difficile, ci vorrà ancora del tempo. Una donna presidente? Sì, Hilary Clinton, una donna che agisce come un uomo».
A Lark House i residenti vanno a morire, lei ha paura della morte?
«Non ho paura della morte, ma del processo di morire. Vorrei avvenisse con dignità e senza dolore. Proprio come Ichimei, vorrei finire i miei giorni con estrema leggerezza, liberandomi di tutto, tranne che dell'amore».
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