Inventario di cose perdute così Schalansky ritrova la Germania che non c’è più

La scrittric e designer nata nel 1980 nell’ex Rdt firma dodici racconti per recuperare un senso di identità perduto

la recensione



Caratteri tipografici passati di moda, razze e specie estinte, isole remote, scomparse o forse mai esistite, cose appartenute al passato e oggi perdute, questi i temi che affascinano la giovane scrittrice tedesca Judith Schalansky, autrice di strani libri dal contenuto conturbante e dalla veste grafica raffinatissima, tanto da vincere molti premi non solo per il loro contenuto ma anche per la loro bellezza. La letteratura tedesca, rimasta in sottotono rispetto agli exploit che l'avevano posta sotto i riflettori per tutto il '900, torna a brillare con autori come Judith Schalansky, che forse non a caso proviene dalla Germania dell'Est, che già in passato ha dato i natali a grandi scrittori come Christa Wolf, Ingo Schulze, Christopher Hein o al recentemente riscoperto Wolfgang Hilbig. Infatti Judith Schalansky è nata a Greifswald (Meclenburgo) nel 1980 e a nove anni ha visto cadere il Muro tra le due Germanie. Dopo essersi laureata in Storia dell’Arte e Design, oggi lavora a Berlino come scrittrice e designer, e tiene corsi di tipografia al Potsdam Technical Institute. La sparizione della Repubblica Democratica Tedesca ha però lasciato in lei un senso di assenza e nostalgia che permea tutti i suoi scritti. Nel 2008 pubblica “Fraktur mon Amour”, un saggio sui caratteri gotici, e vince diversi premi dedicati al design. Inizia a essere scoperta anche all'estero e nel 2013 Bompiani pubblica il suo “Atlante delle isole remote” (pagg. 144, euro 21,50) in cui sono descritte cinquanta storie di isole non segnalate su Google Earth o nelle cartografie ufficiali, con riproduzioni in scala 1:125.000. Sempre nel 2013 Nottetempo pubblica “Lo splendore casuale delle meduse” (pp. 264, euro 16,50), un romanzo ambientato in una sperduta e semi-disabitata cittadina dell’ex RDT che, col tasso di natalità ormai a picco, non ha quasi più bambini in età scolare. Inge Lohmark, professoressa di Biologia vecchia maniera, insegna ai suoi ultimi alunni che nella concorrenza della specie sopravvive solo chi ha capacità d'adattamento. Il suo rigido darwinismo s'infrange però quando insorgere un'apparentemente inspiegabile attrazione nei confronti di un’alunna. Con provocante ironia Schalansky racconta così la fine di un mondo a partire da punti di vista marginali, ovvero quelli dei microbi, dei batteri, o dell’uomo.

Ora arriva nelle librerie l'ultimo libro di Judith Schalansky: “Inventario di alcune cose perdute” per l'eccellente traduzione di Flavia Pantanella (Nottetempo, pagg.252, euro 19). È una raccolta di dodici storie, ciascuna dedicata o ispirata a qualcosa che non c’è più, e in cui l'autrice raggiunge un grado di struggente poeticità narrativa mai toccata prima. Alcune di queste cose, forse mai esistite, possono esser ricreate ormai solo dall’immaginazione o attraverso la preservazione nella memoria. Il lavoro di ricerca è un pretesto per recuperare un senso d'identità, ma anche vicende di persone, luoghi, case, animali, testi, cose perdute, smarrite nel corso del tempo, distrutte o dimenticate.

Si va dall'isoletta di Tuanaki, indicata solo su vecchie mappe e ormai sparita sotto il livello del mare, alla tigre del Caspio, il cui ultimo esemplare impagliato andò distrutto in un incendio; dallo scheletro di un presunto unicorno alla Villa Sacchetti a Roma; da una introvabile pellicola di Murneau alle misteriose lacune dei carmi amorosi di Saffo, che custodiscono ipotesi e segreti; dai sette libri dei Mani a tale Kinau, selenografo tedesco dell’800 di cui si sa poco e nulla. Nell'inventario c'è anche il Palazzo della Repubblica che ospitava il parlamento della RDT a Berlino est, abbattuto per far posto allo Schlossplatz, e che diventa metafora di una mutilazione e della perdita di un mondo, di affetti e relazioni. Un libro digressivo, visionario e realistico al tempo stesso, dove ogni cosa perduta diventa l'occasione per raccontare un profluvio di storie. —



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