Introduzione: in principio furono Basaglia e Miela Reina
«La controcultura è la cresta dell'onda in movimento, una zona di incertezza in cui la cultura diventa imprevedibile» scriveva lo scrittore e psicologo Timothy Leary. Che fine ha fatto questa zona incerta nell'epoca di Google, dei megastore online e dei cinema multisala, dei cantanti lanciati da youtube e gli scrittori pescati da Facebook?
L'idea di cultura underground nasce negli anni '60 in Inghilterra e Stati Uniti in opposizione al sistema dominante e i suoi circuiti: produce una propria musica, un proprio modo di fare informazione e arte, un proprio stile di vita. Si sviluppa underground, sottoterra, nei sottoscala dove si registrano nuovi suoni, nelle metropolitane dove circolano fanzine autoprodotte, nelle cantine occupate dagli artisti. Sono gli anni giusti. Il mondo esplode in un fermento ad alto potenziale creativo. E Trieste, avamposto di un modo obliquo di guardare alla realtà, fa la rivoluzione a modo suo. Lascia ad altri luoghi della regione la psichedelia e la ricerca musicale di rottura, e si stringe attorno a due personalità: Miela Reina e Franco Basaglia. Non è strano parlare di personalità, perché non bisogna confondere la controcultura con il collettivismo: le elaborazioni più interessanti della controcultura sono ricche di personalità che catalizzano forze anarchiche mettendole in gioco in direzioni impreviste, senza però dare vita a un gruppo o a un movimento con dei leader.
Se è vero che attorno a Miela Reina, all'inizio degli anni '60, cresce l'associazione Arte Viva, che organizza concerti, conferenze, spettacoli teatrali, se è vero che lei stessa farà parte del gruppo "Raccordosei" che promuove mostre d'avanguardia, è vero però che nessuna di queste forme prende mai una codificazione istituzionale. Ed è proprio il talento, per natura anticonvenzionale, di Miela che farà dire allo snobbissimo Gillo Dorfles che era inutile tentare di iscriverla a una corrente o all'altra, né surrealista né naïf, perché Miela era sempre da un'altra parte.
La stessa cosa si può dire per Franco Basaglia. Parlare dalla parte dei matti è già di per sé un gesto contro. Ma le attività artistiche che negli anni crescono attorno all'ex Opp, dal teatro dell'Accademia dei Matti ai laboratori di Radio Fragola, non propongono solo di andare contro un sistema, ma di essere essi stessi una zona franca dove si possa creare qualcosa di nuovo. La grande rivoluzione basagliana non è andare contro i manicomi, ma aprirli. E poi c'è il confine, quel muro stabile e autoritario, che genera per reazione tutti gli scambi clandestini che fioriscono magnificamente all'ombra della cortina di ferro.
Ora che il confine è caduto, che dall'istituzione negata si è passati armonicamente all'istituzione inventata, ora che le fantasie psichedeliche degli anni '70 sono state sostituite da più conformiste evasioni, cosa resta della controcultura triestina? È difficile creare una mappa di ciò che per definizione non si lascia mappare. Il pericolo più grande è quello di confondere l'avanguardia con il sottobosco, la ricerca con lo sperimentalismo fine a se stesso, le esperienze estreme con quelle pretestuose. Alle personalità rischiano di sostituirsi gli ego. La controcultura potrebbe essere scambiata con la nicchia in attesa di un posto al sole.
E internet, che ruolo gioca? Da un lato i nuovi eroi della controcultura sono gli hacker: coloro che si battono per la liberazione di spazi virtuali che non siano controllati da nessun potere, promuovono un tipo di informazione dal basso ma iperconsapevole, non si fanno sedurre da nessun partito e non prendono posizione. Gli hacker, come le personalità degli anni '70, si muovono in una rete solidale di persone che lavorano sugli stessi contenuti e con obiettivi simili ma non si istituzionalizzano. Gli hacker hanno genio ma sfuggono i riflettori. Ma stiamo attenti, perché internet è anche il luogo dei "like", della ricerca di consenso e approvazione misurabili: ciò che distrugge qualsiasi creatività sovversiva.
Se la rete ha i suoi lati oscuri, riprendono allora importanza i luoghi fisici e le produzioni cartacee che circolano fuorilegge, di mano in mano (come la droga). Se a Trieste l'ex Opp non è forse più un centro propulsore di creatività, è vero però che emergono altri spazi: il Tetris di via della Rotonda o l'Hub di via Economo per citarne solo alcuni. E se il Science Plus Fiction e la Cappella Underground sono ormai realtà solide e riconosciute, altri singoli o gruppi lavorano su esperienze alternative legate all'audiovisivo: dall'associazione Drop Out ai lavori di Elisa Vladilo e Ivan Borman. Cos'è cambiato a Trieste dagli anni '70 a oggi? Come accade spesso, le esperienze più interessanti della controcultura sono entrate a far parte dei canali codificati, perdendo parte della scintilla rivoluzionaria che ne aveva segnato l'origine. Ma soprattutto, ora che il confine è caduto e le autentiche personalità sono scomparse, il rischio è che la marginalità di frontiera si trasformi, non in avanguardia, ma in ripiegamento su di sé che fa proliferare i gruppi e le microidentità una contro l'altra, perdendo di vista la vocazione creativa e anticonformista di una cultura che è prima di tutto un pensare altrimenti.
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