Intercettazioni: a Trieste spesi sei milioni senza risultati
In Procura le intercettazioni costano 5,825 milioni. In un anno ascoltate 2243 persone con risultati modesti. Udine sborsa solo 367mila euro per la stessa attività

Trieste è stata definita città «cara al cuore degli italiani», ma da poco ha assunto anche un nuovo ruolo: è la città in cui la Procura della Repubblica, al cui interno è inserita la Direzione distrettuale antimafia, ha speso tra il primo luglio 2009 e il 30 giugno 2010, cinque milioni e 825mila euro per intercettazioni telefoniche. Un record se non altro regionale. Nello stesso periodo Gorizia ha speso 386mila euro, Pordenone 233mila, Tolmezzo 33mila e Udine 367mila. Cifre che si commentano da sole. Tutti questi dati provengono da analisi ufficiali, effettuate nei vari palazzi di Giustizia ogni anno inviate per tempo a Roma al Ministro Angelino Alfano in previsione delle cerimonie di inaugurazione dell'anno giudiziario.
Ma nel libretto che ogni gennaio viene stampato a Trieste e distribuito agli invitati alla cerimonia di inaugurazione, questi dati statistici sulle intercettazioni telefoniche nessuno è riuscito a leggerli. "Missing". Scomparsi, o meglio non pubblicati come se i dati su uno dei principali problemi su cui da anni è incentrato lo scontro politico, non interessasse i cittadini, gli avvocati, i giuristi e chi si occupa di Diritto penale, violazioni della privacy e investigazioni.
Un enorme orecchio elettronico dunque sovrasta case, uffici, automobili, strade, scuole, ospedali, caserme, ambulatori. Non gli sfugge nulla. Il suo "timpano" o meglio i punti in cui si focalizzano e registrano le informazioni carpite ai cittadini indagati, ma anche a chi sta conversando con loro, sono dislocati in più "centri di ascolto". C'è quello del palazzo di Giustizia, dove per legge dovrebbero essere situate tutte le apparecchiature di registrazione; ma in caso di necessità, cioè sempre, vista la mole di lavoro imposta dalle inchieste e dal loro prolungarsi talvolta nel tempo per tempi biblici, su delega possono essere attivati anche i centri di intercettazione della Guardia di Finanza, della Polizia e dei Carabinieri.
Dei vigili urbani non si sa - ammesso che lo possiedano - certo è che la Forestale, come è emerso grazie ad una "pepata" interrogazione parlamentare, ha attivato un proprio punto di ascolto che agisce su preciso mandato della magistratura. Fin qui le intercettazioni "regolari" effettuate con le garanzie formali di legge. Altre orecchie però sono in ascolto e non devono sottostare alle regole del Codice di procedura penale. È l'ascolto gestito dai Servizi segreti, ma talvolta anche da organismi privati come hanno dimostrato recenti e clamorose indagini a livello nazionale. «Non parlo più al telefono con i miei clienti di cose importanti» afferma un penalista che ha speso nelle aule di Giustizia più di trent'anni della propria vita e che ha avuto a che fare massicciamente con le intercettazioni fin dall'epoca delle inchieste cittadine e regionali di "mani pulite".
Quasi vent'anni fa. L'egemonia triestina in questo campo delicato è dimostrata anche dal numero dei cosiddetti "bersagli". Tra il primo luglio 2009 e il 30 giugno 2010, la Procura di Trieste ha messo al centro del proprio mirino 982 persone a cui si aggiungono altre 1.262 "puntate" dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia. In totale 2.243 persone sono state ascoltate, quando parlavano coi propri telefoni. A Udine sono state 447, a Pordenone 292, a Gorizia 128, a Tolmezzo 116. E per mesi e mesi su questi apparecchi è stata concentrata l'attenzione. I costi ovviamente vanno alle stelle, ma non sempre i risultati sono proporzionali alla spesa. Lo dimostrano i quasi sei milioni spesi a Trieste.
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