In questa tomba greca si nasconde la madre di Alessandro Magno

Gi scavi di Amfipoli tengono con il fiato sospeso tutta la penisola ellenica tra antichi misteri e nuove speranze di riscatto contro la crisi
Una delle statue della tomba
Una delle statue della tomba

«Tra un mese avremo finito con gli scavi e allora il mistero verrà svelato». E così, finalmente, chi riposa nell’enorme tomba di Amfipoli avrà un nome. C’è tutta la Grecia che trepida per l’annuncio dell’archeologa Katerina Peristeri, e c’è davvero tutta la Grecia in questa infinita ricerca archeologica iniziata nel 1964 con troppo poco denaro.

Amfipoli di primo acchito non dice nulla se non agli storici: eppure questa antica città è stata il centro economico e politico dell’impero di Alessandro Magno. Situata nella Macedonia centrale, a un centinaio di chilometri a est di Salonicco, era al centro di importanti percorsi commerciali: qui c’erano miniere d’oro e d’argento, qui c’era (e c’è) il fiume Strimone che ne faceva un porto fluviale perfetto e sicuro ad appena cinque chilometri dall’Egeo. Finché nel 357 a.C. Amfipoli viene conquistata da Filippo II, padre di Alessandro, che la trasforma in uno dei punti nevralgici del suo impero. E più tardi, nel 31 a.C., Marco Antonio e Cleopatra la scelgono quale base per la flotta romana-egiziana prima della sconfitta ad Azio.

Ora il sito di Amfipoli, il ritrovamento di una tomba che non ha eguali in Grecia, viene vissuto quasi si fosse “rubato” alle rocce e al tempo un secondo Partenone. Certo, ad Amfipoli ne hanno scoperti circa 400 di sepolcri ma nessuno è come questo: la struttura risale alla fine del quarto secolo a.C. e il muro di cinta di marmo e pietra calcarea (un cerchio perfetto alto 3 metri, con una cornice di marmo lavorata a “mattoni”, dalla circonferenza di 500 metri) fa impallidire persino il luogo di sepoltura - assai poco distante - di Filippo II, a Vergina, a ovest di Salonicco. Tomba e muro di cinta hanno un design unico ed è probabile che siano opera dell’architetto Deinokratis, contemporaneo di Alessandro Magno.

Insomma, la domanda che sta appassionando la Grecia e la comunità scientifica mondiale è: chi è sepolto nella tomba? Per le poche centinaia di abitanti di Nea Amfipoli e Nea Mesolakkia, i due paesi più vicini al luogo di sepoltura, c’è un solo uomo che abbia potuto meritare una simile tomba: non c’è dubbio, è Alessandro “O Megalos”. Lo sperano eccome gli abitanti della provincia, undicimila persone che non credono ai loro occhi nell’avere sotto i piedi un tesoro del genere. I turisti, sono arrivati i turisti. E i giornalisti, greci certo, ma del sito hanno parlato alla Bbc e sul National Geographic. E allora al kafenio, il caffè tradizionale di Mesolakkia dove si radunano le 436 anime del paese, stanno aspettando con trepidazione l’arrivo della compagnia telefonica: vogliono installare una connessione Internet. Hotel qui, su queste verdi colline, non ce ne sono: questione di tempo. «Prima la terra non valeva nulla - annunciano alla Bbc - ora nessuno sta vendendo: tutti aspettano l’annuncio ufficiale degli archeologi».

Che però su una cosa paiono - quasi - certi: lì sotto non c’è il corpo di Alessandro. Quella tomba è datata dopo la sua morte avvenuta nel 323 a Babilonia (con tanto di prima sepoltura in Egitto). Ma un “vip” dev’essere per forza, anche se non magari uno dei suoi generali più fidati che tradizionalmente venivano sepolti in un cimitero vicino a Vergina. Forse, magari, sotto quel tumulo largo 158 metri (quando Stonehenge ne ha 98) un funzionario di alto livello. Teoria che ha le sue fondamenta nel leone di pietra alto 5 metri che sormontava originariamente il sito: in passato, il leone è stato associato a Laomedonte di Mitilene, uno dei comandanti militari di Alessandro, governatore della Siria dopo la morte del re. Ottima indicazione, se... Se non fosse che poco più di un mese fa gli archeologi si sono imbattuti in una scoperta straordinaria.

Ricapitoliamo: la tomba è suddivisa in tre stanze (e già se ne ipotizza una quarta). All’entrata, due sfingi di marmo, alate e senza testa. Dovevano esser alte più di due metri: incarnano la virtù e la forza. Poi, una seconda porta e due splendide statue di donne, alte 2,27 metri: viso moderno, abito drappeggiato. Elegantissime: da passerella. Ognuna ha un braccio teso quasi a voler scoraggiare intrusi e tombaroli. Forse sono loro la chiave del mistero: sul capo reggono cesti sacri a Dioniso. Rappresentano le Klodones, le sacerdotesse che frequentava Olimpia, la madre di Alessandro. E allora lì sotto, oltre quella porta, potrebbe riposare una donna. Non un re ma una regina.

Pazienza, pazienza ancora per un po’ (e i greci ne hanno tanta): lì, nella terza stanza si svelerà il mistero. Pazienza accompagnata comunque da una certa frenesia. Perché le guardiane non sono esclusivamente dentro la tomba ma pure fuori: la moderna incarnazione delle algide Klodones sta a duecento metri dall’ingresso del sepolcro. Una pattuglia della polizia, due agenti per una “protezione” 24 ore su 24. La loro missione è tenere lontani giornalisti e greci che si aggrappano a una strada sterrata che si inerpica da Mesolakkia. La Grecia intera, infatti, sta impazzendo per Amfipoli: i maggiori quotidiani nazionali ne scrivono ogni giorno, sono usciti inserti, dvd con vecchi documentari della tv di Stato, le reti televisive hanno spedito in Macedonia inviati su inviati. C’è un sito, poi un profilo Twitter e un’aggiornatissima pagina Facebook; il giorno in cui sono state diffuse le prime immagini delle due statue su Booking.com Amfipoli è schizzata tra le mete più gettonate del fine settimana. Infine, la Macedonia chiederà l’inserimento dell’antica città tra i capolavori dell'Unesco.

Il ministro della Cultura, Kostas Tasoulas, ha ricordato al mondo come «la Grecia sia la culla di una civiltà insuperabile e un Paese che merita, grazie al suo capitale culturale unico, di rivendicare il suo ritorno al progresso e alla prosperità». Ogni riferimento alle (drammatiche) politiche di tagli ed enormi sacrifici imposte da quella che per tutti i greci è semplicemente e familiarmente ormai “la Troika” (ovvero Commissione europea, Fondo monetario internazionale e Banca centrale europea) non è un caso. Amfipoli è un’ancora di salvezza rispetto a una crisi che pare non voglia terminare più, una buona notizia in mezzo a disoccupazione, povertà, crollo degli stipendi, tagli alla sanità.

È l’orgoglio della primogenitura della storia, dell’arte, della medicina, dell’astronomia, della filosofia, della letteratura e di chissà quanto altro. È quel nazionalismo del «Dimmi una parola e ti dimostrerò che deriva dal greco» mai schiacciato nemmeno dalla signora Merkel e dalla sua austerità. Perché per i greci non sono i soldi a fare una nazione, ma la cultura. Che crea denaro. È questo che rivendica Atene, è questo che significa Amfipoli.

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