In Fvg i set bloccati pensano al futuro: test rapidi e trucco col plexiglas
TRIESTE Quando, nel 2011, il regista Steven Soderberg ha girato “Contagion”, il suo film su un virus globale con “paziente zero” in Cina, certamente non immaginava che un giorno avrebbe dovuto affrontare una storia molto simile nella vita reale. Sabato Soderbergh è stato nominato dal Directors Guild, il sindacato dei registi americani, a capo di una commissione che possa studiare le strategie per far ripartire il settore dopo l’emergenza Coronavirus. Con una domanda centrale: come sarà possibile ritornare sul set?
Perché se di riapertura delle sale si è sempre discusso, quasi nulla si è ancora ipotizzato riguardo una possibile ripresa della produzione cinematografica e televisiva. La questione non è secondaria: le settimane di quarantena hanno messo in luce come il consumo di film, serie tv, fiction e documentari, sia in televisione che sugli altri schermi casalinghi, sia in crescita esponenziale, anche in previsione del proseguimento delle misure di isolamento.
«Questi prodotti non crescono sugli alberi, ma sono il frutto di una complessa filiera industriale che, solo in Italia, conta più di 100.000 occupati diretti, senza tenere conto dell'indotto», afferma Federico Poillucci, presidente della Friuli Venezia Giulia Film Commission. «Da varie piattaforme infatti già arriva l’allarme per la incombente mancanza di contenuti da mettere in onda. Se davvero crediamo che la cultura e l’intrattenimento siano un pilastro fondamentale della nostra società sotto vari aspetti, l’urgenza è capire se e come potremo tornare a produrre contenuti, girare un film, stare su un set in maniera Covid compatibile». Anche perché il set è, per sua natura, un luogo di “assembramento” attorno a una stessa scena, davanti alla macchina da presa.
Per provare a immaginare gli scenari futuri sono nati diversi tavoli di categoria, pronti a confrontarsi reciprocamente. Spiega Maurizio Tini, produttore delle serie tv girate a Trieste “La porta rossa” e “Il silenzio dell’acqua” e membro dell’Apa- Associazione Produttori Audiovisivi: «L’obiettivo è arrivare a un protocollo unico per i set da verificare con i Ministeri di competenza e con le Regioni. Il lavoro non sarà rapidissimo, ma sta procedendo. Certamente il protocollo conterrà distanze di sicurezza, l’uso di mezzi di protezione individuale come mascherine, guanti e maschera di plexiglas, per esempio per fare da schermo tra il truccatore e l’attore. Il problema è che questo protocollo non si potrà applicare agli attori, che devono magari baciarsi o scazzottarsi: sono loro i più esposti ai rischi».
Conferma Valentina Bellé, protagonista della serie firmata dal regista goriziano Matteo Oleotto, “Volevo fare la rockstar”: «L’unico scenario possibile sarebbe quello di realizzare prodotti di formato ridotto, come dei mediometraggi, nei quali troupe e attori sono impegnati sul set solo per due-tre settimane. All’inizio della produzione si fa il test a tutti, e poi ci si impegna rispettare l’isolamento della troupe per la durata delle riprese».
Oleotto invece si dice fiducioso, anche se i tempi non saranno immediati: «Va trovata una soluzione generale: il governo dovrebbe finanziare di più la ricerca medica e farmaceutica. La salvezza del nostro mestiere, come quella di tutti, arriverà quando ci saranno terapie non invasive che funzionano davvero, e magari la possibilità di fare un esame rapido ogni mattina alla troupe: se si è tutti sani, si gira. Poi, visto che si fa spesso il parallelo tra guerra e malattia, in un sogno fantapolitico dico che sarebbe meraviglioso se, business per business, si togliessero i soldi alla produzione di armi e F35 per investire di più nella medicina. Del resto è un problema che riguarda il mondo intero».
A causa dell’emergenza Coronavirus, la produttrice friulana Nadia Trevisan di Nefertiti Film ha dovuto stoppare un set già avviato, quello di “Piccolo corpo”, opera prima della registra triestina Laura Samani: «Abbiamo interrotto il set qualche giorno prima del decreto nazionale, perché era impossibile stare nei parametri della distanza di sicurezza», racconta Trevisan. «Fare ipotesi di ripartenza è difficile. I protocolli allo studio hanno un impatto sui budget che una piccola produzione non può permettersi. E poi c’è un altro grosso problema, quello assicurativo: nessuna assicurazione, oggi, si prende il rischio di coprire un set».
Soluzioni facili, insomma, non ne esistono. Ma il tema dei contenuti deve rimanere all’ordine del giorno altrimenti, come chiosa Poillucci, «sarà molto bello poter tornare al cinema o invitare gli amici a casa a vedere un film, ma guarderemo solo le repliche». —
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