Impossibile leggere Il Piccolo nel corto di Giulio Amendolagine

TRIESTE Il salotto è quello di casa sua, l'ufficio del padre della sua ragazza che ha scovato anche il protagonista, il microfono gentilmente fornito dal fratello che fa musica. Quando si dice ingegnarsi e lavorare a budget zero, coi pochi soldi spesi solo per noleggiare un obiettivo e offrire la pizza ai collaboratori: niente male per uno che abitualmente usava equipment dell'università con camere da 50mila sterline l'una. Prima a Oxford, dove ha studiato cinema per tre anni, e ora a Londra. Ma l'aspetto che più colpisce è che nel melting pot linguistico e culturale della capitale cosmopolita per eccellenza il triestino Giulio Amendolagine abbia girato un cortometraggio che con freschezza e ironia restituisce un po' di quell'inconfondibile spirito della sua città, a partire dal protagonista che tenta di leggersi il suo "Piccolo" in santa pace, senza mai riuscirci causa i tanti "disturbi" disseminati in casa.
«Ho girato in due giornate la scorsa estate appena prima di ferragosto, interni a casa mia, esterni Rive e piazza Unità; naturalmente prima del ciak d'inizio sono andato in edicola a comprarmi il quotidiano» racconta Amendolagine. Classe ’97, ha finito il liceo Petrarca nel 2016 proiettandosi a Oxford per studiare e inseguire il suo sogno di fare cinema. È a Londra, però, che concepisce il suo primo corto italiano, "Michele", che nasce da due semplicissime idee: innanzitutto, racconta l'autore, «dal mio timore, che c'era anche nel precedente corto "Early days", di diventare un adulto vero, con delle responsabilità, con otto ore e più di lavoro che ti aspettano ogni giorno e la difficoltà quindi, di trovare il tempo libero per fare ciò desideri; poi, da una mia ipersensibilità ai rumori, captata un giorno spegnendo una rumorosissima tv: ma da quel ritrovato silenzio ho iniziato a sentire tutti i rumori della casa. Da lì è scaturita quest'idea comica, di come il protagonista non riesca a fare questa cosa semplice, ma solo apparentemente, che è il prendersi tempo per se stesso e leggere il suo quotidiano».
«Dovevo trovare un bravo attore - continua - che riuscisse a recitare, in pratica, solo fisicamente. Dovrei erigere una statua a Fulvio Falzarano: è stato gentilissimo e incredibilmente disponibile, e c'è stata anche collaborazione da parte sua, dando molti input creativi. A partire da Mia, la sua cagnolina: l’ha portata sul set perché non poteva lasciarla a casa e allora ci siamo chiesti perché non far proprio di lei uno degli elementi "disturbatori". Così abbiamo deciso d'inserirla, scelta secondo me azzeccata, perché funziona molto. Un grande aiuto è arrivato anche da Nicola Muscolo, aiuto regista che ha seguito le mie orme ed è andato anche lui a studiare cinema a Oxford».
«Quando uno cresce in una città - spiega il film maker - cerca sempre di capire che cos'è quello spirito che la alberga. Così, mi ha sempre affascinato l'idea di fare un film che tenti di raccontare qualcosa della triestinità, e qui ho cercato di restituirne l’essenza attraverso il giornale, il dialetto, le scene in piazza Unità. Poi alla fine sono un nostalgico da molti punti di vista e non so quanto questo abbia giocato un ruolo, magari anche irrazionalmente».
«Sicuramente il mio sogno è di rientrare in Italia - conclude - ma voglio farlo con una certa esperienza alle spalle e il ritornare a vivere qui a Trieste è una cosa che tengo in considerazione. Tengo però tutte le porte aperte: l'esperienza da direttore della fotografia l'ho acquisita, girando tra le altre cose anche un documentario, e nel frattempo vado avanti qui in Inghilterra, con un corto da girare tra poco, in primavera, e cercando di scrivere dei lungometraggi in italiano». —
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