Ileana e Leo Castelli storia di un amore bruciato dalla Pop Art
Da Warhol a Koons al Candiani di Mestre da domani in mostra i capolavori della “Sonnabend Colle ction”

Un amore mitteleuropeo che inizia come una favola e poi si sgretola lentamente, corroso dall’abitudine e dalla “poliedricità” un po’ frivola di lui, anche se in mezzo c’è un collante di non poco
appeal
come la comune passione per l’arte. Prende così il via nel 1932 nella prospera Romania di re Carol III, monarca rispettoso delle diversità e del pluralismo, e si conclude con un divorzio negli Stati Uniti dopo il secondo conflitto mondiale, la “storia infinita” fra il triestino Leo Castelli e la moglie rumena Ileana Shapira Sonnabend, divenuti nel tempo due pilastri fondamentali dell’arte internazionale d’avanguardia del secondo ‘900.
Lui, che in realtà si chiamava Leo Krauss ed era nato a Trieste nel 1907 da madre triestina e da padre di origine ungherese, fu promotore - grazie al suo eccezionale intuito unito alla prudenza - di un movimento chiave della seconda metà del ‘900 come la Pop Art e di altre espressioni dell’avanguardia americana e non solo; lei, che lo accompagnò per un lungo tratto di vita e lo finanziò attraverso il cospicuo patrimonio paterno, fu poi istintivamente capace di superarlo quale talent scout, grazie al suo grande fiuto. Basti pensare che in realtà fu proprio Ileana a intuire per prima la potenza creativa, innovatrice, ironica e dissacrante, di Warhol, artista anch’egli, come Leo e la moglie, di famiglia ebraica dell’est europeo, che agli inizi Castelli non capiva né apprezzava.
E non è un caso se è proprio il ritratto su due pannelli dedicato nel ’73 dal mitico Andy a Ileana, ad aprire la mostra “Attorno alla Pop Art nella Sonnabend Collection” (questo il cognome di Michael, il secondo marito di lei), visitabile fino al 5 novembre al Centro Culturale Candiani di Mestre sotto l’egida della Fondazione Musei Civici di Venezia, che l’ha inserita nel ciclo di esposizioni presentate in occasione della Biennale. Accanto sfilano oltre quaranta capolavori della raccolta, in deposito a lungo termine alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. Per ripercorrere, grazie anche a un prezioso catalogo edito da Linea d’Acqua, sotto la direzione scientifica di Gabriella Belli e la cura di Antonio Homem, gli straordinari anni Sessanta in America.
È infatti durante questo periodo che si afferma negli Stati Uniti, divenuti il centro della produzione culturale e artistica internazionale, un nuovo modo di concepire l’opera d’arte, che si misura con la nascente cultura di massa e i nuovi media. Caustica e critica verso quella nuova società, già allora ‘schiava’ dell’industria dei consumi, inebriata da quella omologazione che nel corso degli ultimi decenni del XX secolo sarà prologo alla società globale dei nostri tempi, la Pop Art diventerà uno dei movimenti più influenti, noti e persistenti dell’immaginario di tutto il ‘900.
Assieme a Warhol, Roy Lichtenstein, Jasper Johns, Jim Dine, Tom Wesselmann, Claes Oldenburg, Robert Rauschenberg e molti altri autori sono presenti in mostra con opere-icone quali la serie delle Campbell’s Soup Can o le Nine Jackies di Warhol, l’affascinante Little Aloha e il famosissimo Hot Dog di Lichtenstein o, ancora, i celeberrimi Combine Paintings di Rauschenberg e il mitico Figure 8 di Johns. Gli idoli pop sfilano simbolicamente insieme ai loro contemporanei europei, tra cui Pistoletto, Arman, Christo e Mario Schifano e ad autori di una generazione successiva, come Jeff Koons e Haim Steinbach, che riprendono la Pop Art con un approccio concettuale.
In questo senso la mostra presenta anche un interessante significato simbolico perché, se furono Ileana e Castelli a dare il via in America allo straordinario movimento della Pop Art, grazie alla scoperta precoce del lavoro di Rauschenberg e Johns, le cui opere furono esposte per la prima volta verso la fine degli anni Cinquanta proprio nella loro galleria a New York, quando nel ’62 Ileana e il secondo marito Michael Sonnabend aprono il loro spazio espositivo a Parigi, il fine è quello di far conoscere al pubblico europeo i giovani artisti americani, come per altro era stato ed era anche nel programma di Castelli. Dal lavoro di Johns e Rauschenberg aveva preso avvio una nuova generazione di autori quali Warhol, Lichtenstein, Oldenburg, Rosenquist e Wesselmann, tutti presenti nella galleria parigina della Sonnbend e presto riconosciuti alla Biennale veneziana, con Rauschenberg che nel 1964, primo americano distintosi in tale contesto, ricevette il primo premio per la pittura.
Molto di tutto ciò si deve a Ileana, la più influente talent scout del Novecento. Donna d’eccezione, dallo sguardo dolce, leggermente levantino, ricchissima al punto che che - solo per fare un esempio - da ragazza si recava con la madre e la sorella più volte all’anno a Parigi per rinnovare il proprio guardaroba. Anche se agli atelier di Patou, Schiaparelli e Lanvin, preferiva, a differenza della sorella, i musei, dove sostava intere giornate. Quando nel 1932 conobbe a Bucarest Leo, il clima era alla Scott Fitzgerald: lui, rampollo di un’agiata famiglia ebraica, di recente fortuna, colto e assai appassionato di letteratura, raffinato, elegante e molto sportivo, con un’infanzia e un’adolescenza dorate alle spalle, era stato appena catapultato a Bucarest dalle Generali, la compagnia di assicurazioni per cui lavorava, quasi costretto dal padre, un bancario di alto livello, perché in realtà di quella carriera a Leo non importava molto. Giunto da una Trieste in decadenza, in una a Bucarest fiorente, considerata allora, grazie anche alla presenza di Tristan Tzara e Costantin Brancusi, uno dei grandi centri dell’avanguardia artistica europea, Leo incontra Ileana Shapira, ma ha una breve storia con Eva, sua sorella maggiore. Poi nel ’33 sposa Ileana, secondogenita diciassettenne del magnate romeno Mihai Shapira, uomo colto, astuto e potente, proprietario di un impero ferroviario e consigliere economico del re. La personalità di Ileana, più riservata e colta ma anche provocante, testarda, curiosa, estrosa e decisa a non voler vivere in Romania, non è da meno: possiede una sensibilità davvero particolare, se in uno dei primi viaggi con il giovane marito predilige come
cadeau
un disegno di Matisse. Intanto Leo viene assunto alla Banca d’Italia di Bucarest, con la prospettiva di un rapido trasferimento a Parigi, dove i due approdano nel ‘35. Qui i Castelli frequentano gallerie e musei ed entrano in crisi. Lui si fa finanziare dal suocero, si associa all’architetto René Drouin e nel ‘39 apre una galleria dal taglio originale, dove accorrono i surrealisti francesi e una “rampante” Leonor Fini, che disegna l’invito per l’inaugurazione, tutta a lume di candela perché l’impianto elettrico non era ancora ultimato. Scoppia però la guerra e Leo e Ileana con la famiglia Shapira, incalzati dalle leggi razziali, abbandonano Parigi e, dopo avventure rocambolesche, nel ’41 fuggono via mare a New York. In America il terreno è pronto, favorevole a molte, nuove iniziative. Castelli però ci mette molto tempo a ingranare, con un passo felpato quasi levantino, e ad esporsi davvero come gallerista, abbandonando il ruolo di
amateur
. Apre infatti il suo primo spazio espositivo nella 77° Strada solo nel 1957, a cinquant’anni. Poi, un po’ alla volta, il successo diviene dirompente e, in contemporanea, il rapporto con Ileana si sfalda sempre di più. Comunicano poco e un giorno, mentre stanno pranzando nella loro casa newyorkese, lei gli annuncia con fair play che vuole divorziare. Ma quella tra Ileana,
longa manus
in Europa del marito Leo e promotrice infallibile della Pop Art e delle avanguardie americane nel vecchio continente, e Castelli, rimarrà una “storia infinita”. Quando lui, al terzo matrimonio, nel 1999 muore, lei, che di matrimoni alle spalle ne aveva due, dalla sua casa di Venezia dichiara “Aveva solo me…Ci incontravamo spesso e parlavamo del passato e del futuro. Mi mancherà molto”.
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