Il “Vino” di Piero Ciampi rivive con Sky Arte Hd

TRIESTE. Una chitarra, un calice di vino, la voce lasciata libera: a volte non ci vuole molto per far nascere la magia. È capitato ieri all'Antico Caffè San Marco dove il cantautore livornese Bobo Rondelli, invitato al Trieste Film Festival per accompagnare il documentario "Piero Ciampi. Poeta. Anarchico. Musicista", ha reso omaggio al collega e concittadino imbracciando una piccola chitarra e intonando dal vivo forse la canzone più famosa di Ciampi, "Il vino", proprio davanti a un calice di rosso. Il documentario, diretto da Marco Porotti, prodotto da Sky Arte Hd e presentato in anteprima al festival triestino, racconta il segno profondo che Piero Ciampi ha lasciato nella musica italiana attraverso le testimonianze di artisti come Rondelli, Roberto Vecchioni, il cantante dei Baustelle Francesco Bianconi. Eppure Ciampi non ha avuto fortuna quand'era in vita. Artista maudit, poeta ribelle, che nel bar trovava il suo luogo ideale e nella bottiglia l'unica compagnia davvero fedele, Ciampi cantò la vita quotidiana con un'intensità fin troppo dirompente per il mercato italiano degli anni '60 e '70 (anche se, fra le emittenti che trasmettevano più spesso i suoi brani, c'era proprio Radio Capodistria). È morto a soli 46 anni nel 1980: nel 2015 ricorrono i 35 anni dalla sua scomparsa. Anche per questo Sky Arte Hd ha pensato di ricordare la sua vita e ha affidato la narrazione a Rondelli, una figura parecchio "ciampiana": «Ci voleva una bottiglia di vino per parlare Ciampi», esordisce subito Rondelli. «La forza delle opere si sente quando chi le ha scritte non ha paura di morire: Ciampi ha scritto così per tutta la vita. Aveva un'idea di spiritualità, di immortalità. Le sue frasi sono semplici, parlano della quotidianità, eppure sono straordinariamente profonde». Prima di Ciampi, ricorda Rondelli, a Livorno c'era Modigliani: «Lì c'è sempre questa voglia di sfida col mondo, col bar stesso. Vuoi sempre fare in modo che tu sia il più meraviglioso perdente del quartiere. A Livorno, come a Trieste, sono passati tanti popoli diversi: abbiamo una delle culture più fiorenti del '900 non per i libri, per i bar».
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