Il Verdi riparte dalla Traviata Tasca: «Il futuro comincia adesso»

Stasera la prima dell’opera con Ruth Iniesta, Marco Ciaponi e Angelo Veccia Il direttore generale: «Ci hanno tagliato le gambe, ma stiamo riannodando i fili»
Patrizia Ferialdi



La prima più attesa è finalmente arrivata. Non soltanto l’apertura di una stagione, ma la ripartenza di un Teatro, dei suoi artisti e di tutte le sue maestranze. Stasera, alle 19.30, sarà “Traviata” a inaugurare il cartellone del Teatro Verdi, con il soprano spagnolo Ruth Iniesta nel ruolo di Violetta, affiancata da Marco Ciaponi (Alfredo) e Angelo Veccia (Germont). La regia è di Mariano Bauduin, sul podio Michelangelo Mazza. Serata di gala, attesa da tutti, artisti e pubblico, con grande emozione.

«È stato un anno oltremodo difficile - dice Antonio Tasca, direttore generale della Fondazione – durante il quale abbiamo cercato comunque di mantenere il contatto con il pubblico, attraverso la tv e le attività in streaming e, nello stesso tempo, di mantenere anche la qualità artistica del coro, dell’orchestra e delle maestranze tutte che hanno sofferto particolarmente. Ma è ovvio che ci è mancato tantissimo il rapporto diretto con il pubblico, il calore dell’applauso e, perché no, anche lo scartare inopportuno della caramella. Per non parlare poi del fatto che si è interrotta la nostra quotidianità dello studio, della preparazione, della prova insieme, dell’allenamento necessario alla buona riuscita dello spettacolo. Perciò ripartire ora con questa Traviata ci regala davvero una grandissima emozione».

Purtroppo molti impegni sono stati cancellati…

«Sfortunatamente la pandemia è intervenuta in un momento di immensa espansione per questa Fondazione. Dovevamo essere presenti con la Turandot per le Olimpiadi di Tokyo che poi sono state rimandate e avevamo in programma tournée internazionali fino al 2023. Purtroppo questa situazione sanitaria ci ha tagliato le gambe mentre correvamo, ma non ci siamo mai persi d’animo e ora stiamo cercando di riannodare i fili per ritrovare lo smalto che avevamo conquistato nel 2019».

In questo nuovo cartellone spiccano un titolo contemporaneo e uno mai eseguito prima…

«Io credo, e col sovrintendente e il direttore artistico ce lo diciamo ogni giorno, che la connotazione di questa Fondazione debba essere proprio quella di trovare il giusto equilibrio tra il repertorio e i grandi nomi, tra la scoperta di giovani talenti e la proposta di titoli desueti o addirittura delle prime mondiali. Questa impostazione sarà sicuramente un punto di attrazione espresso dalla città e da questo territorio, perché la collocazione geografica di Trieste non è proprio facilissima e scegliere di venire al Teatro Verdi significa scegliere un qualcosa di particolare».

A proposito di prime mondiali, c’è l’opera di Nicola Piovani...

«Sull’operazione Piovani – che è nata grazie a un’intervista del vostro giornale che io lessi – ci abbiamo lavorato due anni e, a gennaio, la sua nuova opera inaugurerà la prossima stagione ma, sicuramente anche per quella successiva, stiamo lavorando per nuove commissioni e per la rappresentazione di titoli dimenticati o, come nel caso del Mulino di Respighi, mai eseguiti. È anche un nostro punto d’orgoglio che la musica trovi vita per la prima volta in questo teatro che si era, mi permetto di dire, un po’ appiattito sul repertorio più facile, senza nulla togliere alle Traviate e ai Rigoletti che tutti amiamo. Però una città culturale come Trieste ha bisogno di questo taglio e credo che, forse, pochi altri teatri possano fare come noi».

Allora il futuro comincia adesso…

«Le istituzioni ci sostengono e gli sponsor privati hanno avuto il merito di confermare, per quanto possibile, l’affetto nei confronti della Fondazione. Penso che la città di Trieste e la Regione non abbandoneranno mai il Verdi così come il Verdi non abbandonerà loro, perché la pandemia ci ha fatto capire che la cultura è un mestiere e non un passatempo. Siamo fiduciosi perché abbiamo presentato una stagione all’insegna dell’ottimismo che arriva a luglio 2022, navighiamo ancora a vista ma col binocolo guardiamo la meta che già si vede».



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