Il razzismo è genetico? Ce lo diranno i gemelli
di Pietro Spirito
Chissà quale valore indicava il marcatore N170 nel cervello di Adolf Hitler, e in tutti quelli che come lui hanno odiato e odiano gli ebrei. E chissà quali meccanismi cognitivi si mettono in moto fra i sodali di quei gruppi politici e sociali che basano le loro azioni sull’esclusione del diverso o, dal fronte opposto, sull’accettazione incondizionata di chi appartiene a etnie e culture lontane dalla nostra. In altre parole, l’avversione che possiamo provare o non provare verso chi è altro da noi ha un’origine biologica, genetica, o dipende dall’ambiente, dalla cultura, dall’educazione? O ancora: liberali o conservatori si nasce o si diventa? E quali sono i meccanismi mentali che ci spingono ad assumere particolari atteggiamenti nei confronti del mondo basati sul senso comune, quella forma di pensiero e di ragionamento che plasma una cultura in modo inconsapevole? Ma, soprattutto, quali sono le radici del razzismo? Diventiamo razzisti per condizionamenti sociali e culturali, oppure il razzismo è qualcosa di innato, che si tramanda di generazione in generazione in alcune persone?
Per cercare di rispondere a queste e altre domande la Scuola superiore di studi avanzati di Trieste (Sissa), sta conducendo un esperimento senza precedenti in Italia, utilizzando come “cavie” volontarie coppie di gemelli omozigoti (cioè nati da una singola cellula-uovo, quindi del tutto identici) ed eterozigoti (nati nello stesso parto ma dalla fecondazione di due diverse cellule-uovo) a patto che siano del medesimo genere (coppie di maschi o di femmine). Tutti i volontari sono italiani e tutti di età compresa fra i 18 e i 40 anni. L’idea è di ridurre al minimo le differenze tra individui, in modo da misurare con maggior precisione le distinzioni tra componenti genetiche e ambientali. Attraverso test, compiti al computer, questionari e misurazioni elettroencefalografiche che permettono di registrare le reazioni del cervello a una velocità nell’ordine di un millisecondo, i neuroscienziati della Sissa si sono messi all’opera per indagare le basi genetiche del razzismo. Agli esperimenti - non invasivi e del tutto indolori, della durata complessiva di circa cinque ore a seduta - si sono già sottoposte 26 coppie di gemelli reclutate fra i 24800 fratelli regolarmente iscritti al Registro Nazionale Gemelli dell’Istituto Superiore di Sanità.
A capo del progetto della Sissa c’è Francesco Foroni, 42 anni, neuroscienziato con una formazione da psicologo sociale, più che mai deciso a indagare i limiti funzionali della mente umana, quei condizionamenti che producono valutazioni sbagliate, portano all’etichettatura degli individui e spesso precipitano la specie umana nel baratro delle guerre e dei genocidi. «È ormai scientificamente dimostrato - spiega Foroni - che accanto a quelle di origine culturale esistono componenti del pregiudizio che sono influenzate dalla genetica, “scritte” nel nostro patrimonio genetico». «Sono relativamente ancora poco note in letteratura scientifica - continua Foroni -, e la categorizzazione dell’etnia dei volti è un esempio: questa capacità percettiva è una funzione cognitiva legata a meccanismi visivi fortemente determinati dalle caratteristiche del nostro sistema cognitivo, e su questi è molto difficile agire; l’obiettivo delle nostre ricerche è, in prospettiva, riuscire a identificare il contributo della genetica al pregiudizio».
. In sostanza la paura del diverso o, al contrario, l’attitudine ad accogliere nuove esperienze, hanno una componente genetica, che si esprime attraverso due processi cognitivi fondamentali: la categorizzazione e la generalizzazione. «Raccogliendo fatti ed esperienze in categorie - spiega Foroni - selezioniamo ed organizziamo le differenti realtà che ci circondano per semplificare l’ambiente e quindi interagire meglio con l’ambiente stesso, mentre generalizzando tendiamo ad attribuire a eventi di tipo generale significati che derivano da poche osservazioni sugli eventi a disposizione, e anche questo offre un vantaggio». Sono processi basilari, che ci permettono di comprendere la realtà in cui viviamo e quindi decidere come agire al meglio. Ma rappresentano anche un grande limite per la mente: «Per esempio - continua il neuroscienziato - quando pensiamo a un immigrato subito gli attribuiamo una serie di caratteristiche che lo connotano come povertà, emarginazione, sofferenza e difficilmente riusciamo a caratterizzarlo come individuo collocandolo nella sua storia professionale, culturale, familiare ecc. E questo è indubbiamente un limite».
«C’è un’area del cervello - dice ancora Foroni - dedicata alla percezione e al riconoscimento dei volti: esperimenti e ricerche hanno dimostrato che quando abbiamo di fronte un individuo del nostro stesso gruppo etnico l’area si attiva in modo diverso da quando il volto appartiene a un altro gruppo etnico: un europeo reagisce con più fatica se ha di fronte il volto di un asiatico o di un africano; anche i muscoli facciali reagiscono in modo opposto, attivando il muscolo zigomatico da cui dipende il sorriso, o al contrario, il muscolo corrugatore sulla fronte, che provoca l’aggrottamento».
La misurazione scientifica delle reazioni quando osserviamo un volto si avvale del marcatore N170: più è ampio il valore, maggiore sembra essere la difficoltà che il cervello incontra nel percepire e “accettare” un volto. «E capire se questa difficoltà è geneticamente condizionata è fondamentale per distinguere tra le origini biologiche e culturali del pregiudizio», sottolinea Foroni.
Ecco dunque gli esperimenti su gemelli nei laboratori della Sissa - in collaborazione con Maria Antonietta Stazi del Registro Nazionale Gemelli - tra computer, questionari, cuffie irte di elettrodi e camere imbottite come quella del Grande Fratello. «Allo studio - conclude Foroni - partecipano coppie di gemelli dello stesso sesso, sia identici, monozigoti, che diversi, dizigoti: i gemelli dizigoti hanno tutto uguale rispetto a quelli monozigoti, educazione, ambiente culturale, ecc…, a parte la genetica. Isolare tendenze comuni nelle coppie monozigote non presenti in quelle dizigote potrebbe indicare una base biologica di quanto osservato». A cominciare dalla propensione a essere o meno razzisti.
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