Il processo ai Chicago 7 con un cast stellare

Al banco degli imputati siedono i “Chicago Seven”, esponenti della controcultura americana, hippies, studenti, attivisti contro la guerra del Vietnam, pretestuosamente accusati di aver provocato i violenti scontri tra Guardia Nazionale e manifestanti avvenuti durante una convention del Partito Democratico il 28 agosto del 1968. Assieme a loro viene messo sotto accusa anche Bobby Seale, leader delle Pantere Nere, che a Chicago, il giorno delle proteste, si era fermato solo per poche ore. L’intero processo ha tutta l’aria di essere un bluff, un pretesto architettato ad hoc dal Governo Federale degli Usa al fine di screditare questi esponenti della sinistra democratica inesorabilmente avviati verso una condanna esemplare.

Seconda regia per Aaron Sorkin, lo sceneggiatore più in vista di Hollywood, che ha ereditato il progetto da Spielberg (rimasto tra i produttori), “Il processo ai Chicago 7” è un legal drama che guarda al modello del cinema classico e di parola. Nell’idea originale si sarebbe trattato di un film low budget e i ruoli chiave sarebbero stati destinati a volti sconosciuti. Siamo invece in piena operazione “film da Oscar” con un cast all-star nel quale brillano i nomi di Sacha Baron Cohen, Eddie Redmayne, Joseph Gordon-Levitt, Mark Rylance e Michael Keaton, il che rende il film seducente, ma sotto la patina affiora anche il retrogusto amaro dell’occasione centrata a metà. Più commedia che solido cinema civile, ma anche autocelebrazione della Hollywood liberal e un po’ ipocrita che predica bene e razzola male, comunque orgogliosamente schierata sul fronte progressista. —

Bea.Fio.



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