Il mostro di Udine torna alla ribalta. Su Sky gli omicidi delle prostitute

Da domani la docuserie firmata da Matteo Lena, che ha utilizzato filmati d’archivio e documenti d’epoca e ha intervistato alcuni familiari delle nove vittime 

TRIESTE Nove donne uccise, una scia di sangue lunga dal 1971 al 1989, un mistero mai risolto: è quello del “mostro di Udine”, l’assassino sconosciuto che ha seminato la morte lasciando dietro di sé molti interrogativi ancora aperti. A occuparsi nuovamente del caso, a trent’anni dall’ultima vittima, è la docu-serie “Il mostro di Udine”, in onda da domani sera alle 22 su Crime+Investigation, canale 119 di Sky. La formula è avvincente: l’autore e regista Matteo Lena, che ha studiato Scienze della Comunicazione all’Università di Trieste e ha già vinto il premio Ilaria Alpi per la docufiction per Rai3 “Le mani su Palermo”, ha ricostruito il giallo mescolando documenti d’epoca, interviste agli inquirenti e ai famigliari delle vittime, ricostruzioni di fiction e filmati d’archivio presi anche dalla Cineteca del Friuli. Ripartendo da un punto fermo: lo studio dei faldoni delle inchieste.

«Sono tutti omicidi irrisolti: volevamo vedere se c’era margine per seguire piste che non erano state approfondite all’epoca», spiega Lena. «Ho ottenuto l’autorizzazione dalla Procura di Udine a estrarre una copia dei fascicoli. Poi siamo partiti con le interviste». Le vittime erano tutte donne, dai 19 ai 46 anni, per la maggior parte prostitute, tutte comunque con esistenze tormentate alle spalle. Fra di loro anche la triestina Luana Giamporcaro, uccisa nel 1983. «È stato difficile e delicato trovare i parenti ancora vivi delle vittime. A parte Fedra Peruch, la figlia di Marina Lepre uccisa nel 1989, Barbara Bellone, sorella di Maria Carla morta nel 1980 e il fratello di Maria Luisa Bernardo, uccisa nel 1976, molti non se la sono sentiti di parlare. Alcuni bimbi che hanno perso la madre sono stati affidati ad altre famiglie, hanno cambiato cognome. Ho rintracciato in Germania anche il figlio di Stojanka Joksimovic, uccisa nel 1984: si è ritrovato bambino solo a Sarajevo ed è sopravvissuto alla guerra. Ma le interviste erano importanti per dare un ritratto umano a queste vittime, molte delle quali hanno avuto una vita difficile e una morte ancora più tragica».

Il lavoro di scavo della docu-serie ha davvero portato alla luce nuovi reperti dall’archivio della Procura, tanto che alcuni famigliari hanno chiesto un’istanza di riapertura delle indagini. E alcuni sospettati dell’epoca sono ancora vivi. «Sono passati tre mesi dalla richiesta e per ora la Procura non si è espressa. Negli anni ’70 e ’80 i metodi investigativi erano diversi, la scena del crimine subiva più contaminazioni, oggi i reperti possono essere analizzati scientificamente dando un nuovo indirizzo alle indagini. Spero che questi famigliari ricevano almeno una risposta. Alcuni casi sono stati chiusi piuttosto rapidamente: parenti e giornalisti dicono che quelle donne, non persone importanti, sono state un po’ come vittime di serie B». E se nei primi due episodi conosciamo la storia di Marina Lepre e di uno dei sospettati, forse un chirurgo data la precisione da bisturi col quale straziava il corpo delle vittime, «dal terzo episodio ci sono diverse sorprese di sceneggiatura che ribaltano il racconto. Si scopre, insomma, che la versione dei carabinieri è falsa».

Il documentario è stato tutto girato a Udine, con il supporto della Fvg Film Commission e il coinvolgimento di tanti professionisti del territorio, come il direttore della fotografia Deborah Vrizzi, di Cividale, Giuliana Zidarich, che fa parte dell’Accademia della Follia, e l’attore triestino Daniele Tenze. La terza e la quarta puntata andranno in onda rispettivamente il 29 maggio e il 5 giugno. —
 

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