Il maestro Francesco ucciso per errore è il “martire fascista” di Adriano Sofri

Una storia che ha al centro il legame tra la morte di un insegnante nel Carso sloveno e la strage di piazza Fontana
La strage di piazza Fontana
La strage di piazza Fontana

TRIESTE C’è un filo sottile che lega il fascismo di confine a piazza Fontana. A disseppellire il legame tra l'uccisione di un maestro italiano in un paese del Carso sloveno nel 1930 e la bomba che il 12 dicembre 1969 segnò l’inizio della strategia della tensione e degli anni di piombo è stato Adriano Sofri. Il suo ‘Il martire fascista’ (Sellerio, 237 pagg., 15 euro) fa compiere al lettore un viaggio pieno di colpi di scena tra coincidenze, false piste, incredibili giochi del caso. Come in altre occasioni, pensiamo all’antico ‘L’ombra di Moro’, passando per la ‘La notte che Pinelli’ fino a ‘Reagì Mauro Rostagno sorridendo’, Sofri usa uno schema a lui congeniale e collaudato. Riprende in mano un fatto storico e i suoi atti giudiziari e li ripercorre da cima a fondo, con pazienza, con acume, con partecipazione. Rileggendo le carte, visitando archivi e incontrando persone, scopre fatti nuovi, unisce puntini cancellati per giungere a una nuova visione d’insieme, a volte capovolgendo quella che era tenuta per la ‘verità’.

Questa nuova ricerca ha origine dalla matassa di piazza Fontana e si confonde con suggestioni private di Sofri fino a condurlo sul Carso, a una scarica di pallettoni con la quale il movimento antifascista sloveno Tigr voleva vendicare i maltrattamenti subiti dai ragazzini sloveni, picchiati da un maestro elementare perché osavano parlare tra loro nella propria lingua. Il primo indizio è un soprannome, ‘Nino il Mussoliniano’. Così veniva chiamato Antonio Sottosanti, “un esemplare della torbida confusione di eversione di destra e pseudoanarchismo” che attraversava l’Italia alla fine degli anni Sessanta. Nino aveva incontrato Pinelli il pomeriggio del 12 dicembre, ma a farlo entrare nella vicenda di piazza Fontana fu soprattutto una presunta rassomiglianza con Pietro Valpreda, poi ingiustamente incolpato della strage. Nino avrebbe portato in banca la valigia con la bomba per far ricadere i sospetti su Valpreda. Tutto inventato, ovviamente. Ma c’è un altro aspetto di Nino che interessa Sofri. Di lui si sa che era figlio di un maestro elementare, Francesco Sottosanti, ucciso nel 1930 a Vrhpolje, che allora, nella dizione italiana, si chiamava Verpogliano, e si trova vicino Vipava/Vipacco, sotto il monte Nanos, a mezz’ora di macchina da Gorizia. Anche la mamma di Sofri era stata maestra elementare e in quel 1930 insegnava in un paese del Carso triestino. E Sofri stesso è nato a Trieste. Inoltrandosi nella sua ricerca, a Sofri cominiciano a presentarsi vari fili e ognuno apre a nuove suggestioni.

La vicenda dell’uccisione del maestro Sottosanti fece grande scalpore. La vittima era una camicia nera, comandante della Milizia e responsabile dell’Opera nazionale balilla. In quegli anni il fascismo stava cercando di italianizzare a forza le popolazioni slovene dei territori che dopo il 1918 erano entrati a far parte del Regno d’Italia. Tra i provvedimenti che investirono la scuola ci fu la proibizione dell’insegnamento in sloveno e la cosiddetta leva magistrale, cioè l’invio di maestri italiani in sostituzione di quelli sloveni, trasferiti in Italia. Si voleva far crescere una nuova generazione di balilla e piccole italiane che dimenticassero la loro identità di origine e la scuola era fondamentale in questo processo di snazionalizzazione. Francesco Sottosanti, nato a Piazza Armerina in Sicilia, era maestro elementare a San Daniele del Friuli. La moglie, siciliana anche lei, insegnava a Montenars, sopra Tarcento.

Approfittando delle agevolazioni della leva magistrale, che offriva uno stipendio migliore, si trasferirono con i cinque figli nella valle del Vipacco. Sottosanti venne ucciso ai primi di ottobre. Un mese prima, a Basovizza, erano stati fucilati quattro sloveni accusati di avere messo una bomba nella redazione del ‘Popolo di Trieste’, provocando la morte di un giornalista e il ferimento di altri due. Erano militanti della Borba, una organizzazione slovena antifascista e nazional-rivoluzionaria. Polizia e carabinieri individuarono in Antonio Hvala, un rivoluzionario velleitario, che tra le sue intenzioni aveva quella di far esplodere in piazza Unità un fiasco di Chianti pieno di polvere da sparo, il colpevole ideale, ma Hvala non verrà mai preso. Da parte slovena si sa come andarono le cose e chi furono gli attentatori. Tone Cernac e Danilo Zelen, originari della zona di Postumia e militanti del Tigr, una organizzazione armata dell’irredentismo jugolavo che, appreso dei fucilati di Basovizza, cercarono un bersaglio vendicarsi.

Lo individuarono in un maestro italiano su cui si rincorrevano voci - infondate - che lo dipingevano come violento, autore di comportamenti ignobili come quello di sputare nella bocca dei bambini che parlavano sloveno. Una vicenda che tra Sesana e Vrhpolje si è sempre saputa. Quello che invece Sofri scopre, ecco il colpo di scena, è che c’era un altro Sottosanti, Ugo, il fratello dell’ucciso. Insegnava pure lui a Vrhpolje ma fu allontanato in seguito alle proteste dei genitori che lo accusavano di maltrattare i bambini. Due maestri, due fratelli, uno buono e uno cattivo.

Ugo era stato costretto ad andarsene dieci mesi prima che il fratello venisse ucciso per un tragico scambio di persona. Tra gli scolari della zona che parteciparono al suo funerale c’erano anche la futura moglie di Boris Pahor, Rada Premrl e suo fratello Janko. Il quale, nel 1937, sparò, senza ferirlo, ad un altro maestro italiano, siciliano e segretario del partito fascista, manesco anche lui con i bambini. Un'altra coincidenza tra le tante di cui è ricco il libro di Sofri. —


 

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