Il golpe Borghese e la telefonata oscura che fece saltare tutto Era forse il Mossad?

A cinquant’anni dal fallito attacco alle istituzioni del principe ripubblicato il libro di Adriano Monti, medico che vi prese parte
Un comizio al Colosseo del principe Junio Valerio Borghese, in una foto del 5 giugno 1953. Due le piste emerse durante il processo per il sequestro del giornalista De Mauro: la misteriosa fine di Enrico Mattei e il tentato golpe Borghese. ANSA
Un comizio al Colosseo del principe Junio Valerio Borghese, in una foto del 5 giugno 1953. Due le piste emerse durante il processo per il sequestro del giornalista De Mauro: la misteriosa fine di Enrico Mattei e il tentato golpe Borghese. ANSA



Il cosiddetto “golpe Borghese”, che venne tentato nella notte dell’Immacolata di cinquant’anni fa, non ha ancora una verità storica accertata e condivisa e l’accertamento giudiziario, svoltosi in tre fasi, ha scagionato quelli che avrebbero dovuto essere esecutori/pianificatori del colpo di Stato.

È una premessa necessaria per spiegare come sia difficile accettare/smentire interpretazioni, ricostruzioni, chiavi di lettura che vengono proposte veleggiando tra reale pericolo per le istituzioni e farsa da pensionati nostalgici. È di questi giorni, a distanza di quattordici anni, la ripubblicazione delle memorie (“Il golpe Borghese. Nel racconto di un protagonista”, editore Luni, 20,90 euro) di Adriano Monti, un medico reatino oggi novantenne, che al tentativo di Borghese partecipò e documenta la sua esperienza.

La testimonianza di Monti è diventata un caso a causa degli ampi coinvolgimenti che il suo racconto implica. In sintesi la tesi è questa: il golpe non fu una burletta, venne pianificato con cura, esistevano rapporti con i Carabinieri e con le Forze Armate, c’erano relazioni con ambienti confindustriali e imprenditoriali di fascia alta, il dipartimento di stato Usa (presidente allora era Richard Nixon) era avvertito e consenziente, sia pure con margini di prudenza.

Perchè Washington, per dare via libera all’operazione, avrebbe imposto che l’esito politico del golpe fosse una guida governativa centrista, in un primo tempo si era parlato di una scelta da effettuare sulla base di tre indicazioni. Poi - secondo la narrazione di Monti - le interlocuzioni americane eliminarono la possibilità di opzione: a capo del governo sarebbe stato nominato Giulio Andreotti, ritenuto affidabile nel quadro di un revirement di natura conservatrice e anticomunista. Si tenga presente che siamo nel 1970, un periodo di forti tensioni politico-sociali legate alle proteste studentesche, all’«autunno caldo» sindacale nelle fabbriche, alla rivolta dei “boia chi molla” a Reggio Calabria. Gli Stati Uniti erano preoccupati per l’instabilità dei governi italiani, espressione di una formula di centrosinistra che non riusciva a decollare e a mantenere fede agli originari propositi riformatori della società italiana.

Riprendiamo il filo conduttore di Monti: a qualcuno Andreotti non piaceva e a quel qualcuno non piaceva neppure l’orientamento ideologico degli organizzatori del golpe, per cui venne esercitata pressione sugli Usa affinchè bloccassero il tentativo di Borghese. Quel qualcuno - scrive Monti - era il Mossad, il servizio segreto israeliano, preoccupato per i buoni rapporti che Andreotti aveva intessuto con il mondo arabo, anche con i palestinesi.

Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 qualcosa era effettivamente accaduto: un commando paramilitare era entrato nell’armeria del Viminale, 200 guardie forestali erano arrivate nella Capitale provenienti da Cittaducale, si erano verificati movimenti di truppe - come quelli del tenente colonnello Amos Spiazzi tra Verona e la periferia milanese. Ma a Junio Valerio Borghese arrivò una telefonata, dopo la quale partì il contro-ordine: “Tora-Tora”, nome in codice del golpe, venne fermata. Chi chiamò il Principe? Non si seppe mai. Non lo sa neanche Monti. È uno dei misteri che da sempre accompagna quel drammatico e discusso frangente della contemporaneità italiana. Monti non sa se Andreotti fosse a conoscenza di quanto si andava preparando. Il giornalista tv Giovanni Minoli glielo chiese ma l’astuto politico democristiano scantinò. Borghese non lasciò detto o scritto niente: riuscì a rifugiarsi nella Spagna ancora franchista, dove morì a Cadice nel 1974 in circostanze ritenute oscure dai familiari, che paventarono un avvelenamento. Un giallo nel mistero. —

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