Il falso medico tentò il suicidio a Trieste cercando il contagio ai tempi del colera

Una cronaca del 1886 apre una finestra su un fatto curioso durante l’epidemia con focolaio a San Giuseppe che causò cinquecento morti  
Un medico interviene per accudire un malato di colera in una stampa d’epoca
Un medico interviene per accudire un malato di colera in una stampa d’epoca

«Il medico distrettuale di S. Maria Maddalena superiore annunciava iersera all’autorità municipale un altro caso sospetto di colera». La notizia compare sul Piccolo del 12 giugno 1886; è la prima avvisaglia della grave epidemia (l’ultima dell’Ottocento) che iniziata 12 mesi prima in Spagna, diffusasi in Provenza e poi in Italia, dopo una lenta avanzata raggiungeva Trieste. Nelle settimane successive i contagi si moltiplicano e il morbo imperversa in città sino all’autunno, uccidendo oltre cinquecento persone.

Nell’agosto di quell’anno, in un’estate segnata dalla quotidiana lista di ammalati e deceduti che Il Piccolo riporta con diligenza in prima pagina, una singolare vicenda attira l’attenzione dei lettori. Ai primi del mese, nelle campagne verso la Val Rosandra, il borgo di San Giuseppe (Rizmanje) è divenuto un focolaio epidemico preoccupante, con casi nascosti e, “corre voce”, la morte anche del parroco. Il paesino ha da poco assunto una nuova importanza perché vi passa il tracciato in costruzione della Triest-Herpelje Bahn, la ferrovia destinata a collegare Trieste a Erpelle, tanto che l’impresa costruttrice ha incaricato un medico stiriano del controllo sanitario del cantiere.

Ma qualche settimana dopo, mentre il morbo miete sempre nuove vittime, nel villaggio compare un “giovanotto sui 26 anni, di aspetto un po’ goffo” che si presenta alle autorità di Dolina come “dr. Eduardo Werner da Vienna”, medico secondario inviato dalla Luogotenenza imperiale per combattere l’epidemia. Infatti, in veste ufficiale ispeziona baracche, dispone sanificazioni, ordina ricoveri. Sino ad ammalarsi anch’egli di colera. Un eroe? Non proprio.

Mentre è ricoverato all’«ospedale dei colerosi» di San Giuseppe, la Luogotenenza imperiale smentisce ufficialmente «in tutte le forme e tutte le regole» di averlo inviato e dichiara di non conoscerlo affatto. Appena dimesso, il giovane viene visto per due sere consecutive cenare in un locale del centro. Qui, conversando con un impiegato ferroviario, fornisce versioni contrastanti: dapprima conferma la sua identità di medico inviato contro il colera, poi confessa di essere un barone fuggito da Vienna dopo aver commesso una truffa.

E sul Piccolo del 21 agosto, sotto il titolo “Il mistero del dott. Werner”, il cronista si interroga su chi sia realmente l’uomo che «minaccia di diventare un personaggio interessante, una specie di tipo curioso da protagonista di romanzo francese». La sera stessa delle dichiarazioni in trattoria, il sedicente Werner viene fermato e portato alla Direzione di Polizia dove si accerta che egli non è affatto un sanitario, ma «parrebbe piuttosto sia un uomo stanco della vita, il quale abbia voluto trovare una nuova forma di suicidio andando in cerca della morte stando al letto dei colerosi (…) un mentecatto e, per lo meno, un eccentrico di grado superiore».

Arrestato «per infedeltà ufficiosa ed inganno alle autorità», è condotto nelle carceri di via Tigor in attesa che «l’esser suo venga posto completamente in chiaro». Ma ci rimane poco perché viene estradato al Tribunale di Vienna. Il 25 settembre si svolge il processo e il 26 il Piccolo ne riporta l’esito, che chiarisce infine il mistero.

Il sedicente dr. Werner assomiglia a certi protagonisti del crepuscolo asburgico narrati dal talento di Joseph Roth. Il suo nome, improbabile ma vero, è Filiberto Catanei di Momo, barone, figlio di un defunto colonello dell’esercito imperialregio. È stato dapprima militare, poi impiegato civile, infine praticante all’ufficio postale del Praterstrasse a Vienna, dove sottrae una somma di 50 fiorini. Abbandonato il lavoro, ottiene dalla famiglia un soccorso di altri 80 fiorini per coprire il debito, ma sperpera anche quelli. Fuggito da Vienna, non vede che una soluzione: recarsi nel territorio di Trieste «dove infieriva il colera, allo scopo, come disse lui, di trovarvi la morte, poiché tanto la sua vita era bell’e perduta». Ma fallisce anche questo disperato obiettivo e l’esito ultimo è assai meno onorevole. La Corte di giustizia viennese, che lo trova «confesso in tutti i punti», lo condanna a quattro mesi di carcere.

Quanto al colera, gli ultimi contagi scompaiono ai primi di novembre. In quei giorni sul Piccolo - sotto il titolo “Nessun caso” - un giornalista annota conclusivamente: “speriamo che la brutta rubrica sia cessata per tutto il secolo decimonono. Nel secolo ventesimo poi si spera che qualche nipote del dottor Koch avrà trovato il modo di debellare i microbi in via recisa ed assoluta”. —

*Docente di Antropologia criminale nel Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Trieste

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