Il Diario di una cameriera con la bella Léa Seydoux non conquista la Berlinale

Gelida accoglienza per il remake firmato da Benoit Jacquot mentre dal Messico arriva il sorprendente “Ixcanul”
Di Beatrice Fiorentino

BERLINO. Aspettavano tutti lei, Léa Seydoux, la bella protagonista del film in competizione per l'Orso d'Oro a Berlino "Journal d'une femme de chambre" ("Il diario di una cameriera"). Ma ieri mattina, benché dispiaciuta per l'assenza, in conferenza stampa sono arrivati solo i suoi saluti trasmessi da Londra, dove l'attrice è attualmente impegnata sul set del nuovo James Bond. Così, per l'anteprima, il regista Benoit Jacquot è stato raggiunto solo da Vincent Lindon, il fu marito della principessa Carolina di Monaco, anche lui nel cast del film.

Ha avuto coraggio da vendere Jacquot, dopo il tonfo registrato dal recente "Tre cuori" sia alla Mostra del cinema di Venezia che in sala, a riportare sul grande schermo un titolo su cui a suo tempo si erano già cimentati due grandi come Jean Renoir e Louis Buñuel. «Questo è "Il diario di una cameriera" di Benoit - ha dichiarato sicuro l'autore - e non temo confronti perché i tre film sono completamente diversi tra loro. L'unica cosa che hanno in comune è l'essere tratti dallo stesso romanzo». Il romanzo in questione è quello di Octave Mirbeau, che nel 1900 raccontava sotto forma di diario le avventure di Celestine, che dai piani bassi delle case borghesi in cui era a servizio, svelava i vizi nascosti della società francese della Belle Epoque, mettendo in evidenza la differenza tra classi sociali e la condizione in cui viveva la servitù.

Nel ruolo che nel 1964 fu di Jeanne Moreau, Léa Seydoux, appunto, «semplicemente perfetta per la parte», come ha sottolineato Jacquot, determinata a non soccombere nel suo ruolo di domestica cercando invece un'occasione di riscatto sociale.

Accoglienza fin troppo gelida per un film comunque apprezzabile per molti aspetti legati soprattutto alla messa in scena, anche se purtroppo carente in quello più importante della denuncia degli aspetti più sordidi della "buona società".

È invece arrivata dal Messico la pellicola finora più apprezzata del concorso, l'unica capace di strappare un applauso convinto alle proiezioni mattutine riservate alla stampa. Si intitola "Ixcanul", ed è la sorprendente opera prima, realista ma non documentarista, di Jayro Bustamante, ambientata in una piantagione di caffè del Guatemala, alle pendici di un vulcano dove vive la popolazione Maya Kaqchiquel. Tra questi una ragazza di 17 anni che si aggiunge al ricco universo femminile che sta popolando questa edizione del festival. Nella sua terra, in mezzo a tradizioni contadine e rituali magici, la giovane Maria, sogna una vita diversa. Scoprirà il desiderio e la natura, e poco a poco, attraversando anche il dolore, si farà donna.

Inqualificabile invece "Victoria", il terzo film in concorso ieri, firmato dal tedesco Sebastian Schipper: una notte vissuta fino in fondo a Berlino, cominciata in un clima di festa e terminata in prevedibile tragedia. Girata senza stacchi, in un unico piano sequenza di 140 minuti durante i quali nulla è significativo a parte qualche sprazzo di abilità nel trasmettere il "senso della notte".

@beafiorentino

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