Il corpo di Veruschka diventa alberi e rocce dietro ogni apparenza

Oggi alla Spazzapan di Gradisca d’Isonzo si inaugura la mostra “Behind the Appearances” con i filmati e le foto dell’artista realizzate negli anni Settanta dal fotografo Holger Trülzsch  
Franca Marri

il percorso



Un corpo che si confonde con la natura, divenendo pietra, sorgente o foresta; un corpo che si fonde con l’ambiente circostante come assorbito dai suoi colori, dai suoi odori, dai suoi materiali, divenendo muro, finestra, asse di legno, porta sprangata di ferro.

Un corpo che si fa mezzo espressivo per raccontare una storia, una condizione, un sentimento.

È il corpo di Vera Lehndorff nelle fotografie di Holger Trülzsch da oggi esposte alla Galleria regionale d’arte contemporanea Luigi Spazzapan di Gradisca d’Isonzo.

Dopo l’anteprima con la presentazione di quattro videoinstallazioni con i filmati realizzati dai due artisti in super 8 e 16 mm tra il 1972 e il 1988, gli spazi della Spazzapan propongono ora le opere fotografiche della rassegna intitolata “Behind the Appearances” che si inaugura questa sera alle 18.

Organizzata da Erpac Fvg e curata da Lorenzo Michelli con il coordinamento di Alda Balestra Stauffenberg, la mostra ripercorre un lavoro che prende il via negli anni Settanta per poi articolarsi in più cicli quali “Nature”, “Performances”, “Oxydations”, “Peterskirchen”, “Paros”, “Spetse”.

Vera Gottliebe Anna Gräfin von Lehndorff-Steinort nasce a Königsberg (oggi Kaliningrad) in una famiglia dell’antica nobiltà prussiana. Dopo un’infanzia segnata dalla condanna a morte del padre, accusato di aver preso parte al complotto del 20 luglio ‘44 contro Hitler, e il conseguente internamento della madre e dei familiari in campo di concentramento, aveva deciso di studiare arte e design del tessuto prima ad Amburgo poi a Firenze. Proprio a Firenze conosce il fotografo Ugo Mulas grazie al quale entra nel mondo della moda come modella, divenendone ben presto un’icona. Negli anni Sessanta compare più volte sulle pagine e sulle copertine delle varie edizioni di “Vogue” come di altre riviste di moda e non solo, ma Vera sembra non volersi accontentare di indossare splendidi vestiti stando di fronte agli obiettivi dei più celebri fotografi di quegli anni. Decide di seguire dei corsi di recitazione spostandosi tra Parigi e New York, quando conosce Salvador Dalì con il quale inizia a collaborare in qualche performance dove il suo corpo si trasforma in strumento di un’opera d’arte. Tra il ‘66 e il ‘67 diviene famosa a livello internazionale con il nome di “Veruschka” comparendo in una memorabile scena del film “Blow-Up” di Michelangelo Antonioni.

Nel 1969, nella casa di campagna della madre, conosce Holger Trülzsch che aveva studiato all’Accademia di belle arti di Monaco di Baviera per poi passare a scienze umane e approfondire in particolare la teoria dei media. In quel periodo Trülzsch oltre a ricoprire un ruolo di spicco nel movimento studentesco, sperimentava i possibili intrecci tra diverse forme espressive come la pittura, la scultura e la musica, interessandosi anche di cinema.

Il loro incontro segna l’inizio di un sodalizio artistico caratterizzato in un primo tempo dalla body painting volta a una critica ironica dell’essere del tempo, dello star system, del funzionamento dei media. Successivamente l’indagine si amplia e si approfondisce nel considerare il rapporto con la natura, il confronto con la società e la storia contemporanea e passata, unendo pittura, fotografia, performance.

Vera, “la donna più bella del mondo” come l’aveva definita Richard Avedon, con il suo metro e 83 centimetri di altezza, i suoi capelli biondo champagne, i suoi occhi blu acciaio, il suo fisico duttile e statuario, diviene protagonista di una nuova ricerca espressiva dove il corpo, nudo, dipinto, anziché essere esibito, si mimetizza, appare tutt’uno con l’ambiente che la circonda, tra rocce, alberi, casolari, vecchi capannoni industriali.

Si tratta di un’operazione di “camouflage” che suscita stupore, meraviglia, a tratti anche un certo divertimento in chi guarda ma, andando “al di là dell’apparenza”, può provocare pure inquietudine, angoscia, un senso di costrizione e quasi di soffocamento nella percezione dell’annullamento dell’essere umano.

In questo gioco dell’apparire e scomparire a volte si ha infatti come la sensazione che l’immagine, l’insieme, possa non dover restituire più quel corpo che ha assorbito, inglobato in se stesso, rendendolo per sempre suo. Ed è allora che si intuisce come tale gioco abbia molto a che fare con l’essere e il non essere, con la vita come con la morte. L’immagine in cui il volto di Vera non appare, come solitamente, chiuso in un muto silenzio bensì con la bocca spalancata come in un grido disperato, sembrerebbe confermarlo.

Tra le varie opere esposte in mostra, particolari sono poi i “Fogli di diario”, collage realizzati con frammenti di fotografie più o meno riconoscibili, in parte riconducibili ai vari cicli, in cui Trülzsch mette insieme degli appunti visivi creando o cercando libere associazioni di immagini e di idee per nuovi scenari interpretativi.

L’inaugurazione sarà accompagnata dal duetto “Twiggies”, con Angelica Margherita e Irene Ferrara su coreografia di Roberto Cocconi della compagnia di danza Arearea, cui seguirà l’esibizione di Erica Benfatto (voce), Mauro Bon (basso), Sandro Carta (tromba) e Roberto Duse (chitarra). La mostra rimarrà aperta fino al 19 ottobre. —

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