Il cinema sloveno che ci parla al femminile

Alla Sala Tripcovich in concorso “Drevo” di Sonja Prosenc, evento speciale il documentario di Urša Menart su registe e interpreti
Una scena del film "Drevo"
Una scena del film "Drevo"

TRIESTE. L'incipit, ingannatore, è solare, e ci mostra luce che filtra dagli alberi e una corsa in bicicletta. A stringere subito gli orizzonti ci pensa una carrellata lungo un muro, su cui scorreranno i titoli di testa, introducendo così alle atmosfere claustrofobiche dell'ultimo film in competizione nella sezione principale del Trieste Film Festival, lo sloveno “Drevo” (The tree/L'albero). Presentato alle 18 in Sala Tripcovich e firmato dalla giovane cineasta Sonja Prosenc all'esordio nel lungometraggio, il film è un dramma rarefatto dove la tensione che lo pervade è legata a un mistero che rimarrà sospeso per tutta la sua durata. Una giornata, quella odierna, che coglie così l'occasione per gettare uno sguardo più ampio sul cinema sloveno contemporaneo, proponendo alle 22.30 un altro titolo, stavolta un documentario, realizzato da una giovane regista di Lubiana, Urša Menart.

La storia di “Drevo”, scritta dall'autrice insieme a Mitja Li›en, che ha curato anche la bella fotografia, racconta dell'isolamento cui sono costretti a vivere una donna e i suoi due figli. Il perimetro interno della loro casa e quello esterno lungo il muro che vediamo nell'incipit sono gli unici spazi all'interno dei quali i tre possono vivere in sicurezza. Poco è concesso di sapere allo spettatore, se non che la famiglia, privata dell'aiuto del padre che è morto, vive una situazione estrema: una vendetta le pende sul loro capo e la polizia non può aiutarla. I ragazzi, adolescente uno, Alek, piccolino e pieno di energia Veli, reagiscono alla situazione estrema in modi evidentemente diversi, e mentre il grande sembra assorbire la sofferenza e la preoccupazione della madre (Katarina Stegnar) ed essere pienamente consapevole della gravità della situazione, il piccolo traduce la reclusione attraverso la sua fantasia di bimbo come si trattasse di un gioco.

Il film ha i suoi punti di forza nella compressione dello spazio cui consegue una dilatazione estrema del tempo, facendo percepire, in un dramma che è scarno, asciutto, minimale, una sensazione schiacciante di attesa e di ineluttabilità degli eventi. Presentato al Festival di Karlovy Vary, il film rappresenta un esordio sicuramente importante. «Il desiderio di fare questo film è nato dopo aver ascoltato e letto alcune storie – spiega Sonja Prosenc - storie di bambini “intrappolati” dentro le mura di casa per colpa di una faida familiare: ed è precisamente questa particolare condizione che io e Mitja Li›en volevamo come punto di partenza per la nostra storia».

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Una scena del film "Tigers"

Se l'attrice slovena Katarina ‹as appare in “The Wolf of Wall Street” di Scorsese ricoperta di mazzette di denaro, le sue colleghe sono state rappresentate nella storia della cinematografia del loro Paese nelle maniere più disparate: e “Kaj Pa Mojca? (What About Mojca?/Che ne pensi di Mojca?), presentato come evento speciale stasera in Sala Tripcovich, ospite l'autrice Urša Menart vuole offrirne una panoramica. Un documentario tutto al femminile sia davanti che dietro la macchina da presa, attraverso le voci delle protagoniste o di addette ai lavori. Da Spela Rozin, o “Sheyla Rosin”, come fu ribattezzata per un film di Corbucci a Milena Zupanc'ic', cui vengono mostrati alcuni frammenti dai lavori più importanti con Matjaž Klop›ci›, a Milada Kalezic' e Pia Zemljic', il film offre, passando per i commenti della regista Maja Weiss e di alcune critiche cinematografiche, uno sguardo sulle principali eroine e sulla loro rappresentazione, dai ruoli più iconici ai clichè, espressa in una carrellata godibile e densa.

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