Il Canzoniere di Saba, ventun anni di nevrastenie confluiti nel libro che regalò Trieste all’Italia
TRIESTE Settembre 1921. Chi avesse voluto acquistare una copia del Canzoniere 1900-1921 di Umberto Saba doveva pagarlo 12 lire l’equivalente di 12 uova! 12 uova? Eh, sì, lo stesso Saba si lamentava con Francesco Meriano, siamo nel 1919, di aver finito il Canzoniere ma che i tempi erano tremendi per la cultura e per il costo della vita tanto che un uovo costava 1 lira! Maledetto Canzoniere… scritto da una stanzetta di Trieste, ancora austriaca, chiosò Giacomo Debenedetti che divenne ben presto il critico più fedele di Saba.
Fino a quando non lo pubblica, in 500 copie, per i tipi della propria libreria antiquaria – nota bene: Virgilio Giotti sceglie carta e caratteri bodoniani e fa rilegare alcune copie in carta decorata o in tela - Umberto Saba sente che la sua biografia poetica è instabile.
le tensioni
Ventun anni di umori e nevrastenie confluiscono in 232 pagine verso le quali mostrerà da una parte insofferenza (“Noi non siamo entusiasti del primo Canzoniere. Saba vi accolse troppi componimenti di scarso valore estetico”), ma anche fierezza (è esaurito dirà nel 1933 ad Angelo Barile). Ma sarà un’opera sempre aperta, soggetta a tensioni, torsioni fino all’edizione del 1945 per Einaudi.
Dirà bene Mario Lavagetto che tutte le volte che Saba intraprende la pubblicazione del Canzoniere, avverte la necessità di risalirne il corso, di rivisitare le proprie origini, di cercare un oroscopo al viaggio che gli sta davanti: interroga i suoi numi, si fabbrica un destino. Ma veniamo ai fatti.
Saba entra nell’agone letterario a 38 anni: del 1911 sono le Poesie prefate da Silvio Benco (un vero errore giovanile confida a Enrico Falqui), del 1912 Coi miei occhi, per l’editore della Voce (un libro osteggiato dalla banda dei vociani che amano Slataper). Poi continua a scrivere su foglietti sparsi altri versi e molti li pubblica su riviste (ma assai di più restano nel cassetto). Il 15 luglio del 1918 scrive a Meriano che sta concludendo “l’opera di tutta la mia vita” ossia il Canzoniere di un poeta minore (beffardo quell’aggettivo); lo conclude il 28 febbraio 1919 (questo aureo manoscritto è conservato nella Biblioteca Civica A. Hortis e fu studiato da Giordano Castellani).
Ma Saba è ambizioso: delle poesie inedite successive a Coi miei occhi vuole farne un libro di successo, di 80-90 pagine, con un grande editore, e lo chiamerà, confida ad Aldo Fortuna il suo alter ego libraio a Firenze, La serena disperazione. Il grande editore è Vallecchi: così dice Papini.
Che gioia entrare in quel parnaso assieme a Rosai, Cardarelli, Sbarbaro! Saba pensa che il libretto già a dicembre del 1919 o al massimo a gennaio del 1920 sarà in libreria (magari la sua che aveva appena aperto).
Sarà uno stillicidio. Il 3 febbraio del 1920 scrive a Papini di aver saputo da Vallecchi che il libro uscirà al massimo nella metà di maggio, che lui non smania di essere pubblicato ma che “i frutti sono maturi”, che deve guadagnare e invidia «gli ebrei che ho d’intorno, che sanno guadagnare 10.000 lire con un semplice colloquio al caffè».
Il 26 luglio Saba ordina al povero Fortuna di andare da Vallecchi e di farsi dare un impegno formale, magari per iscritto! Il 24 novembre scrive ancora di voler contribuire lui stesso economicamente per la pubblicazione. E ancora: «Vallecchi. Questo è quello che più mi preme. Io non capisco più l’uomo, e non credo più alle sue promesse. Mi ha fatto già perdere più di un anno». Solo nel gennaio del 1921 arriva la risposta negativa e Saba si chiede se vale la pena di fargli causa.
Un anno perso? No, infatti Saba non era rimasto con le mani in mano: editando Cose leggere e vaganti aveva prospettato sempre ad Aldo Fortuna di pubblicare tutte le sue poesie in dieci libretti “leggeri come le bolle di sapone su carta a mano con i graziati disegni di Virgilio Giotti”. Libretti dedicati a 9 lettori quali Giotti, Giorgio Fano, Bolaffio, Guido Voghera, Ettore Schmitz, Pincherle, Aldo Fortuna, Paratico, Lina che, come scrisse “per usanza che mi è cara da vent’anni, ricevete qualche mia poesia manoscritta” (nella prefazione al Canzoniere del 1921 i lettori scendono a 6).
I poetini
Si pensava che fosse un progetto rimasto lettera morta ma nel 2013 chi scrive ritrovò i dieci prototipi nella biblioteca di Cesare Pagnini e nel 2018 altri dieci appartenuti a Virgilio Giotti ora conservati alla Biblioteca Nazionale di Roma. Solo che pubblicare dieci libretti, tutti gestiti graficamente da Giotti, rappresentava una grande sfida economica e difatti il progetto fallì (ne uscì solo uno, Cose leggere e vaganti). Fu allora che decise, siamo nel 1921, di investire nell’opera omnia: ecco il Canzoniere dedicato ai suoi pochi lettori, meno di 25 direbbe Manzoni.
L’opera non piacque a Saba che cominciò subito a rimetterci le mani e non ebbe successo (lo recensirono in tre, Benco, Pancrazi e Titta Rosa): anzi, disse Debenedetti, fu un sasso lanciato invano nel sedentario mondo delle lettere. Più drastico Saba: nel marzo del 1922, dirà sempre a Fortuna che il suo libro è stato trattato male, anzi, “tutti i poetini d’Italia ci hanno pisciato sopra”.
La guida
Non tutti però! Ettore Serra, l’editore de Il Porto Sepolto di Ungaretti, così ricorda: «Quando nel 1927 partii per Costantinopoli, dove poi rimasi a lavorare per due anni quale “marittimo” portai con me il Canzoniere di Umberto Saba. Saba non sapeva, nella sua umiltà, di aver fatto così, fin d’allora, un gran regalo all’Italia, perché con la sua poesia, in un certo senso, aveva all’Italia … regalato Trieste. Io, che di poesia vivevo più che del mio pane salmastro, non potevo fare a meno del Canzoniere una specie di guida per “vedere” Trieste». E Serra avrebbe voluto poi essere editore di Saba!
La miglior guida per vedere Trieste è proprio quel Canzoniere che è come un ragazzaccio scontroso che ha 100 anni; e grazie ad esso Saba, come scrisse Pasolini, acquistava nella sua appartata Trieste una turbata ma classica grandezza. Buon compleanno! —
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