Il bragozzo all’arrembaggio nel golfo di Trieste
TRIESTE Parlando di atti di pirateria legati in qualche modo a Trieste e al nostro mare, certamente il pensiero corre alle gesta dei famigerati Uscocchi che per lungo tempo infestarono l’alto Adriatico e le coste istriane. Tutt’al più può venire in mente l’oscuro episodio del rapimento delle donzelle veneziane per mano di pirati triestini o, secondo alcuni, istriani, al tempo del doge Candiano III; la cosa non fu mai chiarita. D’altro canto si usava configurare l’Istria con quella terra compresa fra il golfo di Trieste ed il Quarnaro, o meglio fra la foce del Timavo e quella del fiume Eneo.
Meno note sono le azioni criminali compiute in epoca ben più recente, da un’improvvisata banda di pirati, addirittura nel 1814. Questi erano sette sgangherati malfattori privi di scrupoli e persino di un vascello che potesse dirsi tale. Ne troviamo notizia negli atti che il Comando di Marina di Venezia trasmise all’I.R. Intendenza di Trieste il 7 settembre 1814.
La vicenda ebbe inizio nella notte del 24 agosto quando il bragozzo da pesca denominato Madonna del Carmine, con al comando tale Domenico Rapetti, che aveva gettato l’ancora a due miglia dal porto di Trieste, venne abbordato da un “caichio” con sette uomini armati di fucili, pistole e sciabole. L’equipaggio del peschereccio venne ben presto catturato, minacciato e malmenato. Il capitano fu persino ferito alla mano destra. Impadronitisi dell’imbarcazione, lasciata andare alla deriva la loro barchetta i sette, con gli ostaggi a bordo, cominciano l’avventura piratesca. Primo a farne le spese è un “pielago” di Malamocco incrociato al largo di Grado. Il carico di allume di rocca è evidentemente poco appetibile per gli aggressori, per cui costringono l’equipaggio a consegnare il denaro in loro possesso prima di essere lasciati liberi di proseguire. Il bragozzo pirata si dirige quindi verso Umago e giuntovi in prossimità ecco che assale una “brazzera” rovignese. Non sono certo fortunati questi pirati: la “brazzera” non ha carico perciò a farne le spese, dopo minacce e maltrattamenti, sono ancora una volta i marinai costretti a consegnare i pochi denari che avevano con sé. La corsa prosegue verso Rovigno dove, dopo un inseguimento viene catturata una tartana che trasporta legna da ardere. Il Rapetti dichiara che i malviventi salirono a bordo e che udì “grida di orrore”, ma nella sua denuncia dei fatti non sa dire di più.
Lasciati liberi i malcapitati, il bragozzo fa rotta verso Pola dove giunto nella notte si imbatte in un “tartanone” di Lussino che trasporta vino. Finalmente un bottino degno di questo nome; Rapetti riferisce che “gli assalitori sullo stesso si servirono di vino, e di tutto il dinaro che ne trovarono a bordo”. A questo punto i pirati, dopo aver bordeggiato lungo le coste istriane senza trovare altre prede, decidono, o perché appagati da quanto raccattato o per prudenza, di lasciare andare i malcapitati pescatori e la loro imbarcazione e sbarcano “in una punta sul lato sinistro del Lazzaretto di Trieste”.
Lamenta ancora il capitano: “Trasportarono al momento seco le loro rapine ad eccezione di due cappotti vecchi e di altri minuti cenci rimastimi a bordo”. Audaci, spietati, ma certo non avveduti questi pirati; già il 17 settembre l’I.R. Intendenza venne informata dal Magistrato di Sanità che grazie a un confidente cinque dei sette malviventi erano stati arrestati e si prevedeva l’imminente cattura degli altri due, mentre lo stesso Magistrato proponeva all’Intendenza di premiare l’informatore con un importo di venticinque fiorini. Gli arrestati erano tutti giovanissimi e provenienti dalle più disparate località; solo uno di essi era di Albona. Probabilmente si trattava di marinai allo sbando, sbarcati e senza ingaggio, che si erano improvvisati pirati. —
(1- Continua)
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