“I vagabondi” nei labirinti della vita inseguono sempre l’attimo fuggente

I racconti della scrittrice polacca Olga Tokarczuk pubblicati da Bompiani metafora della libertà
Collage of people enjoying outdoor pursuits
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La recensione



“Muoversi, andare. Benedetto è, colui che parte”. E benedetto sia il viaggio in un libro straordinario, guidati a smarrirci da Olga Tokarczuk, una delle scrittrici più acclamate della Polonia che con questo “I vagabondi” (Bompiani, pagg 379, traduzione di Barbara Delfino, 20 euro) ha vinto l’International Man Booker Prize 2018.

«Momenti, briciole, configurazioni sfuggenti: vedere il mondo in frammenti». Ogni frammento una storia, ogni storia un percorso, ogni trama una finestra, una curva cieca nel labirinto di una vita, quella detta («la vita narrata sarà salva») e la nostra, naturalmente.

Per leggere questo libro bisogna lasciarsi andare allo spostamento perché, scrive Tokarczuk, «una cosa in movimento sarà sempre meglio di una cosa in stato di riposo. Il cambiamento sarà sempre più nobile della permanenza… ciò che è statico degenererà e decadrà, trasformandosi in cenere, mentre ciò che è in movimento può durare per l’eternità».

Dentro la trama e l’ordito di un Gabinetto delle curiosità che ci lascia stupiti come bambini, feriti come adulti in faccia alla morte, la scrittrice intreccia storie che apre e chiude come porte di un palazzo immenso. Il polacco Kunici che per due giorni perde moglie e figlio sull’isola di Lissa («le isole germinano parsimonia», «le isole sono miserevoli stati della mente, danno una falsa impressione di controllo»), il vecchio professore dotato di giovane moglie che sembra conoscere gli dei di persona e per il quale «forse è possibile osservare il passato, lanciare i nostri sguardi all’indietro… oppure trattare il passato come se esistesse ancora, e si fosse soltanto spostato in un’altra dimensione…».

In mezzo ai tanti altri protagonisti del libro compare e ritorna anche Kairos, il momento opportuno, l’attimo fuggente, perché «la fluidità, la mobilità, l’illusorietà sono precisamente le qualità che ci rendono civili. I barbari non viaggiano». A storie un po’ più tracciate Tokarczuk intreccia fotografie di viaggio che ci suggeriscono altre epopee: Eryk che si salva in prigione leggendo Moby Dick, Ludwika, la sorella di Chopin che ne salva il cuore per riportarlo in Polonia, donne velate che compaiono solo per un attimo, Annuska che scappa dal figlio malato. Pellegrini.

E in questo portarci, stupirci, suggerirci sguardi («siamo quello che guardiamo») Olga Tokarczuk sembra affondare la carne nelle parti del libro che analizzano la storia dei progressi sulla conservazione del corpo umano, in cui racconta le visite alle collezioni anatomiche, lo studio delle abnormalità...e anche in questo è di un’assoluta attualità. Josephine Soliman scrive a Francesco I, Imperatore d’Austria, supplicando di riavere il corpo del padre, Angelo Soliman, africano fedele e stimato servitore della corte, che dopo morto è stato imbalsamato come curiosità: «È sufficiente che un altro essere umano sia diverso perché venga spogliato dei diritti e delle consuetudini ordinariamente concesse agli uomini?».

Forse afferrare questo libro non è possibile. Forse non è necessario. Lasciarsene trasportare è, però, una grande gioia. D’altra parte Tokarczuk scrive che i tiranni obbligano i diversi a stabilizzarsi, a piegarsi a un ordine congelato per falsificare il passaggio del tempo, per fermare il mondo servendosi di etichette e codificazioni. Allora questo libro è anche un inno alla libertà di non fermarsi a una trama ma di esplorarle tutte. Di non essere pavidi viaggiatori notturni. «La vita? - si legge ne I vagabondi - Non esiste: vedo linee, piani e solidi e i loro mutamenti nel tempo. Invece il tempo sembra un semplice strumento per misurare i piccoli cambiamenti, un righello di scuola con una scala di misura semplificata con tre soli punti: passato, presente, futuro». Lo scrittore? «Un orecchio gargantuelico». Il viaggio? «Il movimento non esiste. Non ci dirigiamo verso alcun luogo, viaggiamo semplicemente all’interno di un momento. E non c’è fine. Né destinazione». —

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