I musicisti ebrei internati dal fascismo vinsero la prigionia con Wagner e Chopin

la ricerca
Il campo di Ferramonti, nel comune di Tarsia in provincia di Cosenza, è stato il principale tra i numerosi luoghi di internamento aperti dal regime fascista tra il giugno e il settembre 1940. Per una serie di circostanze fortuite arrivò lì anche una sessantina di musicisti tra cantanti lirici, pianisti, violinisti e studenti di conservatorio e «accadde qualcosa di clamoroso: in quel campo risuonarono le arie di Verdi e di Wagner, le Polacche di Chopin e i Lieder di Schubert, canti liturgici polifonici e cabaret viennese, si ascoltavano violini e fisarmoniche, un armonium e addirittura un pianoforte a coda».
Tutto questo, e molto altro ancora, lo racconta Raffaele Deluca – pianista e musicologo milanese ma triestino per parte di madre - nel volume “Tradotti agli estremi confini – Musicisti ebrei internati nell’Italia fascista” (nota introduttiva di Carlo Spartaco Capogreco” uscito in libreria per Mimesis (pagg. 375, euro 24).
Professor Deluca, da dove nasce l’idea di affrontare questa ricerca?
«È nata in modo del tutto casuale, nel senso che una decina d’anni fa è venuta al Conservatorio di Milano la signora Armida Locatelli, erede del compositore Kurt Sonnenfeld, con un plico di suoi manoscritti che desiderava venissero esaminati e analizzati. Se da parte del Conservatorio non c’è stato un grande interesse, al contrario ha convinto me che già da qualche anno mi stavo occupando di musica perseguitata. Allora ho iniziato a indagare su questi manoscritti e devo ammettere che si è dischiuso un universo, una storia che nessuno sino ad allora conosceva».
Difficoltà nella ricerca?
«C’è soprattutto la necessità di combinare in modo responsabile la realtà storica con la realtà musicale. Per questo motivo ho trovato risposta e collaborazione con docenti universitari e, soprattutto, con storici contemporaneisti. Poi, trattandosi di ebrei stranieri internati, le fonti sono disperse in tutto il mondo ma grazie alle biblioteche digitali lo studio è più semplice di quanto sembri».
Quali gli artisti di spicco nel campo di Ferramonti?
«C’erano diverse glorie del bel canto e orchestrali della Scala, il trombettista Oskar Klein, il pianista Sigbert Steinfeld, il compositore Isaac Thaler, il direttore d’orchestra Lav Mirski e anche il giovane pianista Kurt Sonnenfeld, internato poco meno che ventenne e rimasto dentro quasi cinque anni, le cui testimonianze dirette sono fondamentali per capire il panorama musicale di Ferramonti».
Cosa fare per divulgare questo tassello di storia della musica?
«Credo che la prospettiva privilegiata sia proprio quella dei conservatori, trattandosi di musica sconosciuta che deve iniziare a rientrare nella produzione concertistica normale come succede, da anni, nel Nord Europa. Al Conservatorio di Rovigo in questi giorni stiamo tenendo delle lezioni online proprio su questo argomento, senza dimenticare il collegamento con la realtà storica perché c’è il rischio di fraintendere il significato della persecuzione fascista e di ricondurla all’archetipo del lager nazista».
Come dire che il fascismo fu più “morbido” del nazismo…
«Infatti c’è il rischio di ritenere la persecuzione fascista in qualche modo più leggera e questo si riconduce al falso mito degli ‘italiani brava gente’ che permane ancora nella coscienza collettiva. Forse entrare dentro a questa storia soprattutto attraverso il lato artistico permetterà anche di ripristinare gli equilibri di una visione storica che è stata rimossa dalla coscienza italiana dal dopoguerra fino ai tempi più recenti. “
I suoi prossimi studi?
«Dopo una collaborazione con Davide Casali, ho collaborato col professore Alessandro Carrieri che, insieme ad Annalisa Capristo, ha curato un volume miscellaneo dal titolo “Italian Jewish Musicians and Composers during Fascism : Let our Music be played” (London-New York, Palgrave Macmillan) in uscita quest’estate, che comprende un mio articolo su Kurt Sonnenfeld. Ma certamente il lavoro più consistente sarà lo studio e l’analisi di tutte le fonti reperite in questi anni e che hanno trovato il primo sbocco nel libro appena pubblicato e a cui ne seguiranno sicuramente anche altri». —
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