I Moonchild in concerto per gli Iron Maiden: «Amore adolescenziale»

Domenica alle 21 in piazza Verdi la tribute band regionale. Sirio: «Tutto era cominciato come una festa tra amici»
Elisa Russo
I Moonchild
I Moonchild

TRIESTE Fa un certo effetto pensare che gli Iron Maiden, paladini dell’heavy metal, hanno suonato in Piazza Unità nel 2016 e nel 2018, lasciando il pubblico triestino con la promessa di rivedersi. Per ora, nella vicina Piazza Verdi, si può ascoltare un degno tributo alla loro musica: appuntamento domenica 18 agosto alle 21 con i Moonchild – Iron Maiden Tribute. La serata, organizzata da Musica Libera, è a ingresso libero.

Il progetto, seppur con un altro nome, nasce ormai una ventina d’anni fa per volontà del cantante monfalconese Massimiliano Sirio, già chitarrista in band rock e metal, dal 2018 vocal coach alla Scuola Go Music di Gorizia. Dopo qualche cambio di formazione, in Piazza Verdi lo accompagnano: i triestini Michele Manfredi alla batteria, Cristiano Devitor alla chitarra, Michele Pippan al basso e da Selz, vicino Monfalcone, il chitarrista Alex Puntin. «Tutto era cominciato – racconta Sirio – come una festa tra amici, poi è diventata una cosa più seria».

La leggendaria metal band britannica è stata la sua prima passione?

«Un amore esploso nell’adolescenza, ma non avevo mai osato cantarli. Il coraggio è arrivato solo con il tempo, lo studio, la tecnica. La prima occasione di cimentarmi con il loro repertorio fu per sostituire una cantante, la goriziana Lisa Salustri, che sarà ospite in un pezzo domenica, visto che da allora siamo sempre rimasti in contatto».

Cosa avete preparato a livello di scenografie?

«Gli allestimenti nascono da me e il batterista, le menti “ingegneristiche” del progetto. Ci sono teli, pannelli e altri materiali, un manichino con la maschera di Eddie (la famosa mascotte dei Maiden), una pedana aggiuntiva, coperta da rete mimetica, per me e il chitarrista. La testa di Eddie in tema “Powerslave” troneggia dietro a noi, mentre gli altri teli sono a tema “Seventh Son of a Seventh Son”. Creiamo un effetto immersivo».

Le luci?

«Il tecnico Andrea Peresson fa un lavoro enorme per organizzare le sequenze come nei live dei Maiden, stessi colori e intensità».

La scaletta?

«Seguiamo l’ordine delle canzoni in base a quello che gli Iron stessi portano dal vivo, non possono mancare i classici “Hallowed Be Thy Name”, “Iron Maiden”, “Run to the Hills”… tentiamo di mantenere la dinamica della loro setlist».

Cercate l’aderenza agli originali o ci mettete del vostro?

«Per gli strumenti è giusto mantenere una componente personale, io invece cerco di essere il più fedele possibile, nonostante non abbia la timbrica di Bruce Dickinson. Gli strumentisti vanno alla ricerca dell’effetto giusto, la batteria è stata fatta artigianalmente proprio per ricalcare le timbriche. Quasi tutto è fedele ai live dei Maiden, più che alle versioni da studio. Prendiamo ad esempio il “Rock in Rio” del 2001 e il “Flight 666” come riferimento per le parti musicali, che hanno per noi un impatto maggiore rispetto ad altri tour».

E il look?

«C’è qualcosa che può richiamare, senza scimmiottare. Sappiamo benissimo di non essere loro, cerchiamo di mantenere lo stile, pantaloni mimetici, maglietta dei Maiden, qualche oggetto come la bandiera con le bruciature e i buchi delle pallottole per “The Trooper”, per “Aces High” indosso il berrettino con gli occhiali da aviatore...».

A chi non ama le tribute band cosa direbbe?

«Che noi puntiamo a creare l’atmosfera e le emozioni, non di certo la teatralità dei Maiden, non cerchiamo di essere copia: non ci sono parrucche o imitazioni, e di Dickinson mi piace ricreare anche il lato ironico, dove si sorride».

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