I Giorgieness a Trieste in concerto. Ma prima diretta Facebook dal Piccolo - VIDEO

Venerdì 17 al Miela una delle rivelazioni del rock made in Italy. Band in diretta sempre venerdì, alle 14, sulla nostra pagina Fb

TRIESTE. Venerdì 17, alle 21.30, arriva al Miela una delle rivelazioni della musica rock made in Italy: Giorgieness. Nel pomeriggio, intorno alle 14, la band è stata ospite della nostra redazione per un’intervista in diretta sulla pagina Facebook del Piccolo.

 

 

 

In apertura del concerto serale si esibiranno i Jonathan, band croata sulla scia di Franz Ferdinand, Editors, Interpol, Placebo e The Strokes che il 5 luglio apriranno anche il concerto di The Killers all’Exit Festival di Belgrado.

 

 

Giorgieness, tra i finalisti del Premio Tenco 2016 nella categoria “Opera Prima” con “La giusta distanza” (Woodworm), è un progetto che ha base a Milano: fulcro è la carismatica Giorgie D’Eraclea (voce e chitarra). Il disco è stato realizzato all’Edac Studio da Davide Lasala (Edda, Dellera, Nic Cester dei Jet) che è anche chitarrista della formazione; completano la band Andrea De Poi al basso e Lou Capozzi alla batteria. La loro intensa attività live, anche in apertura di nomi importanti (Savages, The Kooks, Garbage, Verdena tra gli altri) li porta per la prima volta a Trieste.

 

 

Giorgie, nata in Valtellina, racconta dei suoi primi 18 anni in valle: «Nelle città un po’ più grosse ci sono due sale prove comunali e locali in cui suonare: non ho avuto problemi nel momento in cui ho deciso di avvicinarmi alla musica. Mio padre cantava e suonava e c’è sempre stata una chitarra in casa e dischi dai Pink Floyd ai King Crimson e Bruce Springsteen, mia madre era un po’ più cantautorale e infatti oggi è innamorata di Motta, Calcutta…».

Nata nel 1991, un anno grunge.

«Nei miei ascolti è arrivato dopo, prima il punk, i Sex Pistols: a dieci anni mi ero innamorata di Sid Vicious! Poi i Distillers, Rancid…».

E Milano?

«A 18 anni mi sono trasferita. Adesso non me ne andrei, è una città stimolante, ma all’inizio ero abbastanza impaurita e spaesata: venivo da un posto molto piccolo, dove ci conoscevamo tutti. Nel 2011 è iniziato il progetto Giorgieness. All’inizio suonavo da sola con il nickname che usavo in rete Giorgie Ness (che gioca con il mio nome, Giorgia e il cognome del leader dei Social Distortion, Mike Ness)».

“La giusta distanza” è incentrato su una storia d’amore travagliata.

«E fuori dai canoni. Ero arrabbiata, tanto. La gestazione è stata lunga, i pezzi li ho scritti tra i 19 e i 24 anni, quindi ci sono stati tanti cambiamenti».

A 25 anni si sente più solida?

«Più che solida direi: stanca. Sicuramente mi conosco di più. Sono diversa e non voglio adagiarmi in una comfort zone e fare un “secondo primo disco”. È importante metterci della verità in quello che canto, sennò non riuscirei a salire sul palco ed essere credibile».

Tanti concerti, anche aperture importanti.

«A volte siamo stati chiamati direttamente dalle band: i Garbage ci hanno voluti una seconda volta, i Verdena… Arrivi e hai un pubblico che non è il tuo e hai mezz’ora per convincerlo che non sei la noia prima del concerto che aspettano, è una sfida».

È molto presente sui social, in maniera naturale e non costruita.

«La fotografia per me è un hobby. Ho sempre curato i social e continuerò a farlo anche perché non penso che sarò mai così impegnata da non poter pubblicare un post su Facebook o rispondere a un messaggio dal telefono. E poi per continuare un discorso di sincerità e spontaneità che per noi è molto importante».

Che rapporto ha con la sua bellezza?

«Non posso dire di sentirmi bella. Farmi la foto nel momento in cui mi sento un po’ più carina non è tanto per il like ma serve a me, che sono di un’insicurezza spaventosa e poi riguardarmi magari mi aiuta. Non capisco le persone invidiose di una bella ragazza né capisco commenti stupidi o volgari su una foto».

Si continuano a usare etichette come “rock al femminile” e “artista donna”…

«Poi ci sono queste serate ghetto in cui ci mettono tutte assieme anche se facciamo generi completamente diversi. A volte basta che una donna abbia in mano una chitarra per accomunarci. Forse perché le donne sono numericamente meno e per arrivare devono essere brave il triplo di un uomo. Faccio mia una frase di PJ Harvey che dice: “Cerco di non preoccuparmi del fatto che sono una donna mentre faccio musica”».

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