I fantasmi dell’ultimo maggiordomo del principe della Torre e Tasso

José Gustavo Martínez fu al servizio per anni del signore di Duino. Con un’unica passione: fare il cameriere
Marta Herzbruch
José Gustavo Martínez
José Gustavo Martínez

TRIESTE Dopo aver preso l'ordinazione, il commento di Gustavo è sempre “Fantastico!” e non c'è aggettivo più giusto per descrivere un pasto all'ombra della pergola che s'affaccia sul pittoresco porticciolo di Duino. Però prima d'arrivare Al Cavalluccio, José Gustavo Martínez è stato l'ultimo maggiordomo del principe Raimondo della Torre e Tasso, in anni in cui il severo portone precludeva al pubblico l'ingresso nella dimora nobiliare. La parte più antica del castello che domina il Golfo di Trieste, ospitò tra il 1300 e il 1319 Dante Alighieri in fuga da Firenze. Un secondo nucleo risale al 1363 e, in ali più recenti del Castello, nel 1911-12 la Principessa Marie von Thurn und Taxis-Hohenlohe offrì ospitalità al poeta ed amico di lunga data, Rainer Maria Rilke, che stava attraversando una profonda crisi creativa e lì nacquero le sue note “Elegie Duinesi”. Poco e niente sapeva di tutto questo José Gustavo Martínez quando arrivò a Duino nel 1982 dall'Argentina. Era disoccupato, e in paese sentì dire che il principe cercava personale.

«Mi candidai - racconta -. Dissi che conoscevo quattro lingue e ottenni un colloquio. Tra i documenti che avevo presentato, oltre alla patente internazionale di guida c'era anche una mia bella foto a figura intera, per bilanciare l'orrenda foto del passaporto, dove sembravo un drogato. Quando arrivo, il principe inizia a parlarmi in francese, allora gli faccio “Sua Altezza, chiedo scusa, ho studiato le lingue tanti anni fa in Sud America, le capisco ma non le pratico e per me sarebbe meglio parlare la vostra lingua!” e lui risponde “Allora è arrivato il momento che imparerò lo spagnolo!” S'è creata subito una corrente di simpatia. E sono stato assunto».

Com'era la vita al castello?

Ho vissuto col principe quattro anni, intensi e belli. Fu una scuola straordinaria. Mi ha insegnato come camminare e presentarmi, le regole di etichetta e del galateo. Per prima cosa andammo da Virgolin a Udine, per farmi il guardaroba su misura: diverse livree e la divisa da chauffeur! La mattina, indossavo la prima livrea, gli servivo la colazione nella sua stanza, lui poi si vestiva e scendeva verso le 11. Dopo sceglievo i fiori per le decorazioni e il centrotavola che doveva essere ogni giorno diverso. Richiedeva un bello sforzo di fantasia. Se c'erano ospiti servivo gli aperitivi e poi il pranzo, naturalmente con un'altra livrea. Per la sera poi avevo un frac rosso. Il principe aveva molti ospiti. Era imparentato con la nobiltà di mezz'Europa, dal principe Carlo d'Inghilterra a re Juan Carlos. Venivano anche personaggi della cultura come il simpatico Karl Popper. A illuminare quegli incontri era però sempre lui.

Che tipo era il principe Raimondo?

Io l'ho conosciuto negli anni del tramonto. Era una persona sola e molto carismatica. Severa, ma anche molto generosa. Viaggiammo insieme in Europa, in Egitto, a Tenerife... Era affetto da enfisema polmonare e non sopportava il freddo, quindi a fine ottobre lo portavo in qualche località dal clima mite e poi tornava a Duino a marzo. Io in quel tempo me ne andavo in Argentina. Lui mi pagava il volo andata e ritorno perché aveva paura che altrimenti non tornassi. Credeva nella reincarnazione e nei fantasmi. Mi diceva che in un'altra vita avrebbe voluto essere un giardiniere. Quando proposi “L’ultimo maggiordomo”, le case editrici volevano i gossip, tipo il maggiordomo che accoltella il suo principe, ma io volevo solo trasmettere l'ammirazione e il grande rispetto che provo per quest'uomo che ritengo sia ingiustamente dimenticato.

Ci sono davvero i fantasmi nel castello?

Lo confermo. Non si riesce a dormire a causa di strane voci e rumori notturni. Io avevo una stanza nella torre e dormivo con la radio accesa. Dimitri, il nipote del principe e attuale proprietario del castello, dorme con le cuffie. In una stanza appare un uomo che fuma una sigaretta, me lo ha detto anche la dentista tedesca del principe, che una mattina scappò senza salutare. Il principe rise e disse che non era la prima volta che succedeva.

Nel libro scrive che nel 1997 si tenne un'asta dei mobili del castello...

Fu un'asta mondiale. Il principe Carlo Alessandro dopo la morte del padre voleva trasformare il castello in un hotel, ma trovò impedimenti da ogni parte, così lo mise in vendita. Organizzò l'asta perché la Regione era interessata all'immobile vuoto. Poi quando uscì fuori che come pagamento proponevano uno scambio con una villa a Trieste, ha bloccato tutto. Intanto aveva già venduto un quarto dei mobili. Rispetto a quando ci lavoravo, è tutto differente, c'erano quadri di Tiziano, Rembrandt, tanta roba.

Che successe dopo la morte del principe?

Mi ritrovai a dover ripartire da zero. Il Principe Carlo Alessandro mi indirizzò presso una zia a Parigi, ma dopo un po’ tornai a Duino. Mi misi a fare il muratore, poi venni assunto al Park Hotel. La mia passione è però la ristorazione. Così andai a Trieste al ristorante da Primo, perché con il titolare giocavamo insieme a bocce. Poi nel '93 sono tornato a Duino dove Marino Rossa aveva creato Al Cavallino. Con lui ho lavorato venticinque anni, da quando è andato in pensione la gestione è passata alla proprietà della Dama Bianca. Sono innamorato di questo posto. Duino è per me un talismano magico. Nei mesi invernali, quando il ristorante è chiuso, viaggio in giro per il mondo o vado in Argentina da mio figlio che ha 16 anni. Quest'anno, naturalmente, sono rimasto qui.

Lei è un cameriere entusiasta, perché?

Ci vuole dedizione per fare questo lavoro. La passione è nata quand'ero bambino. Fare il cameriere è impegnativo, non è solo portare un piatto in tavola o servire un bicchiere di vino, devi essere un po’ psicologo e cercare di capire le persone. —

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