I Beati Paoli tra setta e mafia

di ROBERTO CARNERO
Chi oggi ha un'età almeno, diciamo, dai quarantacinque anni in su, probabilmente ricorderà uno sceneggiato trasmesso dalla Rai nel 1975, “L'amaro caso della baronessa di Carini”, regista Daniele D'Anza, con un cast d'eccezione: tra gli interpreti, Ugo Pagliai, Adolfo Celi, Paolo Stoppa. La serie tv, la cui vicenda, ispirata a una ballata popolare, prendeva spunto da un duplice delitto d'onore compiuto nella Sicilia del XVI ai danni di una giovane nobildonna secolo e del suo amante, ma era ambientata nel 1812, quando stava per entrare in vigore la prima costituzione liberale, che avrebbe messo fine ai privilegi dei grandi feudatari. Nell'intricata trama giocava un ruolo importante una misteriosa setta di incappucciati, i Beati Paoli. Realtà storica o finzione romanzesca? Su questo gli storici si dividono. Certo è che tali indecifrabili personaggi hanno dato vita a uno dei più celebri romanzi popolari della letteratura italiana, “I Beati Paoli” di Luigi Natoli, che ora rivede la luce per i tipi di Sellerio (2 volumi, pp. 1260, euro 25,00).
L'autore - nato nel 1857 a Palermo, dove morirà nel 1941 - è stato un insegnante, un giornalista, uno studioso, un vecchio mazziniano inviso al fascismo per la sua fede repubblicana e soprattutto un prolifico scrittore. La sua opera più nota è appunto il romanzo I Beati Paoli, uscito per la prima volta in appendice al "Giornale di Sicilia" dal maggio 1909 al gennaio 1910 con lo pseudonimo di William Galt. È un vasto affresco storico, ambientato tra Sei e Settecento, che pone al centro le vicende di questa sfuggente società segreta, la quale, dai labirinti sotterranei di una Palermo segreta, lotta contro le prevaricazioni del potere e la tirannia dei "signori", a difesa degli oppressi e per il trionfo della giustizia. In una narrazione ricca di intrighi e colpi di scena, l'autore unisce suggestioni provenienti dai modelli francesi d'elezione: dall'impegno sociale di Eugène Sue al gusto dell'avventura di Alexandre Dumas. Il successo dell'opera fu tale che Natoli darà in seguito alle stampe una quindicina di altri titoli, diventando, con Francesco Mastriani e Carolina Invernizio, il maggiore esponente italiano della letteratura d'appendice.
Non è un caso che l'ultima edizione dei Beati Paoli precedente a questa uscita ora da Sellerio (pubblicata nel 1971 dall'editore palermitano Flaccovio) avesse una presentazione di Umberto Eco, il quale leggeva il romanzo di Natoli come «la lotta manichea del bene contro il male vissuta da una comunità di oppressi». Alcuni hanno visto nella storia dei Beati Paoli addirittura l'origine della mafia. Ma su questo punto la più parte degli storici che pure ammettono l'esistenza della setta segreta tendono a escludere una filiazione diretta, ipotizzando invece in essa soltanto, per così dire, l'origine del «sentimento mafioso».
Leonardo Sciascia, altro illustre estimatore del libro di Natoli, ha interpretato i Beati Paoli come una sorta di «fenomeno di classe»: «persone mezzane e basse che si riuniscono per fare quello che fanno i potenti, quello che fanno i baroni». E in ciò la sua tesi si avvicina a quella di uno storico di vaglia quale Eric Hobsbawm, che considera la mafia come nata dal tentativo della borghesia - scrive Maurizio Barbato nella nota introduttiva alla nuova edizione - «di farsi classe e di ascendere in un processo storico come quello siciliano in cui è mancato perfino il più lontano riflesso di rivoluzione sociale».
Certo è che, disquisizioni storico-sociali a parte, si può affrontare la lettura del ponderoso feuilleton di Natoli anche solo abbandonandosi al gusto di una narrazione intrigante e a tratti davvero mozzafiato, caratteristiche conseguenza di uno stile di notevole modernità. Ha osservato Andrea Camilleri: «La scrittura dei Beati Paoli è assai più moderna del contenuto del libro stesso: se si va a leggere la narrativa popolare coeva, c'è un linguaggio che vuole essere popolare e non lo è, e nello stesso tempo finisce per essere uno stereotipo della scrittura. Mentre in Luigi Natoli la scrittura è un originale, non uno stereotipo, riuscendo a raggiungere un linguaggio che è applicabile a un romanzo non popolare». Con un endorsement di questo tipo, il piacere della lettura è assicurato.
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