«Ho riscritto Dante trasformando l’Inferno in un videogame»

di Roberto Carnero
Tradurre i versi di Dante in prosa contemporanea: questa l'idea dell'insegnante, filologo e narratore Francesco Fioretti, che ha "riscritto" nell'italiano di oggi l'Inferno dantesco: La selva oscura. Il grande romanzo dell'Inferno (Rizzoli, pp. 320, euro 17,00). Con qualche libertà, ma anche con la capacità di evidenziare la carica di "romanzo" del poema. È un libro godibile, utile per recuperare quanto non si è letto a scuola, ma anche come invito alla lettura del testo originale. L'operazione di Fioretti farà forse arricciare il naso a diversi critici, studiosi e filologi. Eppure merita di essere discussa, perché è un'iniziativa interessante, che rappresenta un buon esempio, ci sembra, di quella che una volta si chiamava "divulgazione intelligente".
Professor Fioretti, come è nata l'idea di "tradurre" o "riscrivere" Dante?
«È un'idea che, da tempo, ho accarezzato insegnando Dante nei licei e sperimentando la fatica di questa "impresa" che ritengo comunque importantissima. Credo che nessuno mi avrebbe mai permesso di realizzarla se non avesse avuto un gran successo di pubblico, qualche anno fa, “Il libro segreto di Dante”, il mio primo romanzo. Ed è giusto così, perché la pretesa di "romanzare" la Commedia richiede non solo esperienza d'esegesi, ma anche un certo allenamento alla scrittura narrativa».
Che tipo di operazione ha svolto? Come ha lavorato concretamente?
«Sono partito dalla parafrasi, che, per molti canti, avevo già fatto diversi anni fa per un'antologia scolastica della Commedia. Rileggendola mi sono accorto che era già quasi un romanzo, si trattava soprattutto di ampliare e rendere più realistica la parte iniziale. Paradossalmente Dante è tanto meno realistico nella descrizione dei luoghi e dei personaggi quanto più l'azione si svolge nel mondo "reale". Nell'aldiquà troviamo pure allegorie: la selva, il colle che non è un colle, le tre fiere difficili da trovare tutte insieme nello stesso habitat. Varcata la soglia dell'aldilà, incontriamo invece mostri dell'immaginazione che pure ci pare di vedere in carne e ossa. Bisognava rendere più graduale questo passaggio, poi evidenziare in qualche caso le reazioni emotive del personaggio-poeta, infine inserire qualche informazione sui personaggi che Dante incontra, magari noti al suo pubblico ma sconosciuti al lettore contemporaneo. Questo tuttavia andava fatto con discrezione, senza appesantire troppo la narrazione, o senza spezzarne il ritmo».
A che tipo di pubblico si indirizza quest'opera?
«A tutti quelli che vorrebbero leggere la Divina Commedia e non hanno almeno un anno a disposizione per farlo».
Che cosa risulta dal suo lavoro in termini di comprensione dell'opera dantesca?
«Ogni volta che un lettore si pone di fronte a questo immenso capolavoro ci trova qualcosa di nuovo. Per cui ogni nuova lettura è al tempo stesso una lettura inedita, ma destinata a invecchiare alla prossima. Questa lettura rende obsolete le mie precedenti nelle antologie scolastiche. Quali scoperte nel frattempo? Riguardano singoli canti, ad esempio il superamento, d. opo i miei studi sulle filosofie dell'amore degli stilnovisti, della lettura del canto di Paolo e Francesca. Il famoso Amor ch'a nullo amato amar perdona, che in precedenza avevo interpretato (come tutti) come un assurdo enunciato sull'irrefutabilità della passione amorosa, adesso ha per me un significato diverso, ben più pregnante. Qui mi sono limitato a tradurlo alla lettera: "Amore che non condona l'amare a nessun amato", che non significa che l'amore è necessariamente corrisposto, ma che pretende automaticamente la reciprocità, ovvero che non sa essere disinteressato. È il centro della tragedia di Francesca, visto che nemmeno il marito tradito le condona l'amare. Oppure a proposito del decimo canto, quello di Farinata e degli eretici, la sua specularità con gli spiriti sapienti del cielo del Sole in Paradiso mi ha suggerito una possibile lettura più profonda del ruolo che Dante assegna agli intellettuali, gli atei all'ingresso di Dite, i credenti sulla soglia del Paradiso non sfiorato dal cono d'ombra della Terra. È come se, secoli prima di Dostoevskij, ci stesse avvisando: se Dio non esiste, allora tutto è permesso. Gli "epicurei" sono solo i teorici della mortalità dell'anima, ma le ombre che s'incontreranno di qui in poi sono tutto il male "pratico" che da tale idea può derivare. C'è una sapienza anche strutturale della Commedia che da una lettura per canti scelti non si evince».
Che cosa guadagna e che cosa eventualmente perde che decida di preferire la sua versione all'originale?
«Non si può ovviamente preferire la mia versione all'originale, ma per leggere l'originale e recuperare pienamente la dimensione estetica dell'opera occorrono anni di studi. La mia versione perde tutta la musicalità delle terzine, ma mette il lettore senza le consuete mediazioni di fronte a tutta la potenza "cinematografica" dell'immaginario dantesco. E non credo sia poco».
Un aspetto che emerge dal suo libro è la dimensione "romanzesca" dell'Inferno...
«È una dimensione romanzesca desueta, ma molto interessante. La struttura narrativa dell'Inferno potrebbe essere accostata a quella di un videogame (e infatti il videogame dell'Inferno esiste già). In un videogioco si passa infatti via via da un livello più semplice a uno più difficile, e nell'Inferno di Dante la progressione del racconto non è fondata su un intreccio di avvenimenti concatenati tra loro, bensì su un meccanismo che si ripete di cerchio in cerchio, ma progressivamente si complica. Aumentano i rischi che corre il pellegrino dell'aldilà, aumenta l'orrore delle storie dei personaggi, crescono gradualmente l'astuzia e la pericolosità dei diavoli. C'è dunque una sorta di suspense che deriva dall'attesa del peggio. I ragazzi di oggi questo meccanismo lo afferrano al volo, anche se fanno molta più fatica con la lingua di Dante».
Perché in Italia si tende a evitare di "tradurre" i capolavori dei primi secoli della nostra letteratura, diversamente da quanto avviene nel mondo anglosassone?
«È un discorso che vale in verità soprattutto per Dante, perché ad esempio col Decameron l'operazione è già stata tentata (e altrettanto dicasi per il Principe di Machiavelli). C'è sempre chi storce il naso, ma è prassi accettata dai più. Nel caso di Dante a complicare le cose è la "traslazione" dai versi alla prosa. C'è chi parla di tradimento o di profanazione. Il problema è che mi è capitato di ascoltare questa critica da gente che non ha mai letto tutta la Commedia dal primo all'ultimo canto, che ne conosce quei dieci canti per cantica fatti a scuola e che della sua struttura narrativa tutto quello che sa sono gli schemi delle antologie scolastiche. E questo è un po' paradossale, ma è forse un triste specchio dei tempi».
Proseguirà l'opera con le altre due cantiche? Con quale tempistica?
«La prima stesura del Purgatorio è già pronta. Attendo segnali dall'editore. Il Paradiso è difficilissimo: o ne viene fuori qualcosa di assolutamente mediocre o dev'essere un capolavoro del genere riscrittura. La sfida mi tenta, probabilmente ci proverò di nascosto. Se il risultato mi convince lo pubblico a mie spese per il settecentesimo anniversario della morte del poeta, tra sei anni».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo