Guido Gozzano e il pessimo gusto che fece tendenza

di ROBERTO CARNERO
Moriva cent'anni fa a Torino, precisamente il 9 agosto 1916, il poeta e scrittore Guido Gozzano. Era nato nel capoluogo piemontese il 19 dicembre 1883 in una famiglia colta e agiata. Dopo aver terminato nel 1902 gli studi liceali, si iscrive al corso di laurea in Giurisprudenza, ma non completerà gli studi e quindi non eserciterà mai la professione forense. Frequenta invece da uditore, presso la facoltà di Lettere, le lezioni di Arturo Graf e inizia a collaborare con giornali e riviste. Intrattiene un rapporto sentimentale con la poetessa Amalia Guglielminetti, che affiorerà nei suoi versi. Minato dalla tubercolosi (le prime avvisaglie del morbo erano comparse già nel 1904), nel tentativo di alleviare i sintomi della malattia, compie nel 1912 un viaggio in India. Inutilmente: proprio questo morbo lo porterà via prematuramente, a 33 anni non ancora compiuti.
Spesso si pensa a Gozzano come a un poeta un po' rétro, come al cantore delle “buone cose di pessimo gusto” (per usare un'espressione celeberrima tratta dai suoi versi) ritratte all'insegna di un'insopprimibile nostalgia verso un passato ingenuamente piccolo-borghese. È l'immagine che lui stesso, in parte, ha contribuito a divulgare in alcune sue poesie famose, di quelle che non mancano mai nelle antologie scolastiche: “La signorina Felicita”, “L'amica di nonna Speranza”, “Totò Merumeni”...
Eppure la critica ha da tempo messo in luce il suo ruolo di primo piano nella storia della letteratura italiana del Novecento: Gozzano come iniziatore della poesia contemporanea. Altri poeti che verranno di lì a poco saranno senza dubbio più innovativi sul piano dei moduli espressivi (Ungaretti, Montale, Saba, Quasimodo...), ma Gozzano, rivisitando e talora parodiando la tradizione in maniera divertita e scanzonata, fa da apripista alle esperienze successive, soprattutto a quelle più sperimentali.
Gozzano - capostipite della corrente del Crepuscolarismo - esordisce nel 1907 con la raccolta di poesie “La via del rifugio”, a cui segue nel 1911 “I colloqui”, il suo libro di versi più importante: testi che ora possiamo leggere in una nuova edizione Einaudi dal titolo Le poesie (pp. 700, euro 22,00), con la storica curatèla di Edoardo Sanguineti riproposta proprio per celebrare questo importante anniversario. Nel 1914 compare una sua raccolta di fiabe, “I tre talismani”, mentre un'altra, “La principessa si sposa”, uscirà postuma nel 1917. Postumi verranno pubblicati anche il resoconto, letterariamente trasfigurato, del viaggio in India “Verso la cuna del mondo” (1917) e i due volumi di novelle “L'altare del passato” (1918) e “L'ultima traccia” (1919). Va ricordato, infine, un poemetto didascalico incompiuto dal titolo “Le farfalle” (anche noto come Epistole entomologiche).
Nella poesia italiana del primo Novecento non c'è forse un autore più "letterato" di lui. Egli legge e si appropria di tutto il patrimonio poetico precedente: da Dante a Petrarca, da Ariosto a Leopardi, compreso l'amato-odiato D'Annunzio, che saccheggia a piene mani. Guardare la realtà attraverso la letteratura è l'unica modalità di approccio al reale che Gozzano, come scrittore, conosca. Prova di questa sua irrimediabile “tabe letteraria”, come la chiamava lui, è la vicenda del viaggio in India e del passaggio dall'esperienza al racconto, che ha dato ai biografi più di un grattacapo.
Partito da Genova la sera del 16 febbraio 1912 con un amico sul piroscafo "Raffaele Rubattino", Guido tocca nel suo viaggio Napoli, Porto Said, Aden, per giungere ai primi di marzo a Bombay e poco dopo a Kandy, sull'isola di Ceylon, da dove, alcune settimane dopo, riprende la via del ritorno. Eppure se leggiamo Verso la cuna del mondo (disponibile integralmente nei "Tascabili" Bompiani e in parte nel volume “Poesie e prose”, Feltrinelli) troviamo la descrizione in presa diretta di molti altri luoghi dell'entroterra indiano, tra cui Goa, Madras, Delhi, Agra, Jaipur, Benares.
Come si spiega questa discrepanza? È molto probabile che lo scrittore si sia immaginata gran parte del suo itinerario, sia per rendere più appetibili giornalisticamente le sue "corrispondenze" (i vari capitoli del libro uscirono inizialmente come articoli sul quotidiano "La Stampa") sia, soprattutto, per la sua tipica sudditanza nei confronti della letteratura: qui, in particolare, un libro dello scrittore francese Pierre Loti, “L'India (senza gli Inglesi)”, che egli ha utilizzato come fonte. Per questo è stato definito da alcuni critici il primo autore postmoderno della nostra letteratura: postmoderno ante litteram, per la preferenza accordata al filtro letterario rispetto all'esperienza diretta. E anche in questo senso è stato un grande anticipatore delle linee e delle tendenze della produzione letteraria più vicina a noi.
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