Gorbaciov, il furbo ingenuo che ha cambiato la Russia disintegrando l’Urss
Pierluigi Franco analizza in un volume pubblicato da Rubbettino la vicenda del leader amato dall’Occidente

TRIESTE. Putin e la sua Russia sono senza dubbio un prodotto della politica di Gorbačëv e la stessa Ucraina è nata come stato indipendente il 1° dicembre 1991 quando Gorbačëv era ancora presidente dell’Urss. Perestrojka (rinnovamento), perestrelka (distruzione), katastrojka (catastrofe): queste le ironiche denominazioni del progetto di rinnovamento espresso (solo a parole) da Gorbačëv e mai tradotto concretamente nei fatti. La corposa ricchissima ricerca prodotta da Pierluigi Franco “Gorbačëv il furbo ingenuo. Una storia non agiografica alle origini della crisi mondiale (e Ucraina)” (Rubbettino, pp. 389, euro 19), rivela i retroscena angosciosi della parabola del potere di Michajl Sergeevič Gorbačëv, idolo dell’Occidente, soprattutto in Italia, inviso invece e criticato ancora oggi dalla maggioranza della popolazione dell’ex Unione Sovietica. Nella sua ricerca pluriennale, l’autore illustra con documenti inoppugnabili l’abile scalata al potere di Michajl. Silenziosa e quasi inavvertibile, all’ombra di Breznev e Černenko Andropov. Se ne garantisce la continuità attraverso periodiche epurazioni e prepensionamenti. L’obiettivo è quello di sostituire i capaci e brillanti con mediocri sconosciuti. Un caso eclatante è quello dello stimato ministro degli Esteri Gromiko, rimpiazzato da Ševardnadze; El’cin è pescato sui monti Urali.
Un’opera fuori dal coro, quella di Franco, che infrange i consueti stereotipi di un Gorbačëv sfortunato eroe della pace, infaticabile costruttore della “nuova casa europea”: l’amara verità è che Gorbačëv fu uomo di potere come gli altri e forse di più. È stato proprio Miša a scegliersi il suo antagonista. L’accurata analisi dell’autore permette di ricostruire la politica di Gorbačëv dai suoi esordi alla disintegrazione dell’Urss, indicandone strategie e fallimenti, secondo due direttrici essenziali: la non volontà di risolvere i gravi problemi economici del paese, e conquistarsi simpatie e favori delle potenze occidentali, a partire da Margareth Thatcher. All’Occidente Gorby propone la riduzione degli arsenali nucleari, la distruzione dei missili SS20, l’avvicinamento tra la Nato e il Patto di Varsavia, anzi addirittura l’unificazione tra le due alleanze. Proposta respinta immediatamente dalla Nato e personalmente dalla stessa Thatcher. Gorby riduce armamenti e finanziamenti, mentre gli Stati Uniti aumentano le spese militari. Per l’Armata Rossa è la rovina; l’autore riporta dati e cifre: centinaia di soldati e ufficiali sono costretti a congedarsi. Una parte di essi godrà della pensione minima o rimarrà in strada, disoccupato senza alcuna prospettiva. L’ipotesi della nascita di un nuovo esercito europeo, cui avrebbe dovuto partecipare la Federazione Russa, non si concretizzerà mai. Ma questo è solo uno dei fattori esaminati nel volume.
Lo sfacelo innescato dalla perestrojka si manifesta in tutti i campi, dalle miniere del Donbass a quelle siberiane, nel comparto industriale e in quello agricolo. Le risorse si riducono paurosamente nei settori della cultura e della scuola; motivo di orgoglio del sistema sovietico.
Nel duello con El’cin le sorti volgeranno in breve a favore di quest’ultimo, che riuscirà ad imporre all’arrendevole Gorbačëv lo scioglimento del Pcus e ad estromettere completamente Gorbačëv dalle stanze del potere in quel fatale agosto 1991, dopo un golpe farsa. Con la fine dell’Urss svaniscono anche gli equilibri mondiali e molti osservatori cominciano a temere il peggio. El’cin si insedia sprezzante nell’Ufficio di Gorbačëv. Il dopo Gorbačëv si trascina fino ai nostri giorni con gli evidenti e nefasti effetti delle continue crisi geopolitiche. Intanto, all’ombra di El’cin si moltiplicano e si arricchiscono sempre di più oligarchie mafiose. La situazione precipita nel 1998, con una crisi economica e finanziaria che porta alla svalutazione del rublo e all’impossibilità della Russia, di rimborsare il debito pubblico provocando il default dello Stato. Poi giunse Vladimir Putin, con l’intento di riportare per quanto possibile la Russia agli antichi splendori. Un’impresa ardua, la cui pericolosità non è stata compresa da un Occidente ancora convinto di aver vinto la Guerra Fredda. Ma Putin, scrive Franco, non era il remissivo Gorbačëv, né lo scomposto El’cin. Con l’aggravante che non esistevano più gli equilibri di Jatta a fare da freno.
Sarebbe stato senz’altro meglio avviare un processo di democratizzazione ad est, mantenendo gli equilibri del mondo, cosa che Gorbačëv non è riuscito a fare. Paradossalmente, conclude Franco, l’uomo che voleva favorire la pace ha involontariamente favorito la guerra. Il dramma dell’Ucraina ne è la dimostrazione più tragica.
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