Gli “Scheletri” di Zerocalcare danzano negli armadi di una vita preda del Covid



"L'ultimo intellettuale" ha titolato L'Espresso dedicandogli la copertina. Spiazzante, forse. Ma a pensarci bene, al di là della provocazione, Zerocalcare si è guadagnato un posto di spicco nella cultura italiana, che va oltre a quello di fumettista. Michele Rech, classe 1983, si è fatto insomma notare per la sua lucida analisi della società attuale, grazie anche ai suoi interventi televisivi a Propaganda Live su La7, ospite quasi fisso del programma di Diego Bianchi. Non si tira indietro quando si tratta di prendere posizione, al tempo stesso si schermisce se viene caricato di responsabilità ed eletto a portavoce di una generazione. Ma certe cose, forse, non si scelgono. Succedono e basta. Le vendite dei suoi libri registrano numeri da capogiro, tutte meritate: non sbaglia un colpo, e fa centro anche con il suo ultimo "Scheletri" (Bao Publishing, pagg 280, 21 euro) che da subito scala le classifiche. Nella nuova graphic novel Zerocalcare ripercorre, mescolando autobiografia e fiction, accadimenti che vanno dal 2002 al 2020 e tirano fuori alcuni scheletri nell'armadio dell'autore. Quello più grosso, che gli fa citare "L'avversario" di Carrère (ma è ovviamente ironico, nulla a che fare con i segreti e i delitti di Jean-Claude Romand) risale ai tempi dell'Università. In quell'ambiente, Calcare non riusciva proprio a integrarsi, tanto da spingerlo a un assurdo comportamento (ma non infrequente): gli manca il coraggio di ammettere a sé stesso e a sua madre che non porterà a termine gli studi e così decide di prendere tempo, fingendo ogni mattina di recarsi in facoltà e passando invece le ore sulla metro, rifacendo all'infinito il giro, fino al deposito e poi indietro. «Io a diciott'anni m'ero appena iscritto a lingue a Roma Tre e c'avevo un'orrida cresta rossa (…) Non mi sono mai sentito così fuori luogo in tutta la mia vita come all'Università. Mai. Un misto di solitudine, frustrazione e umiliazione». Cosa fa sulla metro? Per esempio legge "La coscienza di Zeno". E poi incontra Arloc, un ragazzetto speciale che, armato di bomboletta spray, ha scelto la metro (e soprattutto la sosta in deposito) per lasciare le sue tag (firme). E allora introduce il sedicenne Arloc nella sua comitiva e nella realtà della periferia romana di Rebibbia dove “nello stesso spazio potevano convivere Truffaut, le tute acetate, Italo Svevo, l'eroina, Street Fighter e il bushido dei samurai”. Gli presta i suoi libri per "erudirlo": "Cecità" di Saramago, "Q" di Luther Blisset, "Casino Totale" di Jean-Claude Izzo: “Con questi più Max Pezzali hai la summa della produzione culturale occidentale contemporanea”. La storia si colora di noir, tra sangue, dita mozzate, droga che portano allo sgretolamento di alcuni legami, che rifaranno breccia, con qualche colpo di scena, nel 2020. In un presente in cui Calcare campa con i fumetti “in dieci anni ho fatto più di 3000 tavole. Mentre io stavo tombato a disegnare, il mondo correva avanti” e il Covid “impedisce di essere fisicamente espansivi”, insomma un macello in cui “manca solo un colpo di stato guidato dai militari e da Rita Pavone”. Gli scheletri nell'armadio prima o poi saltano fuori e ogni lettore può proiettarci i suoi mostri, perché siamo “tutti preoccupati di avere uno scheletro nell'armadio. Lo teniamo chiuso lì, ci ossessiona come fosse una macchia sulla camicia bianca della nostra vita”. E con il Natale arriva anche "A Babbo Morto" (Bao, 80 pagg, 11 euro), un libro a metà tra favola (cinica) illustrata e fumetto. —+



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