Gli ottant’anni di Ugo Pierri, il poeta irriverente

Ne “La scala a chiocciola” la corrispondenza giovanile con Anita Pittoni: «Amo questa città, una necropoli»
Ironico. Dissacrante. Provocatore. L’artista dalle mille identità, Ugo Pierri, esibite al meglio nel suo foglio informativo, “Ossetia. L’eco del popolo oppresso”. Una mania che ha praticato fin da giovanissimo, come si può leggere anche nell’epistolario
Pierri-Pittoni “La scala a chiocciola” (Battello Stampatore, pagg. 120, euro 12,00)
, appena uscito. Si tratta di lettere dal 1966 al 1979, a cura di
Riccardo Cepach
e
Flavia Delben
, lettere in cui il nostro si firma con un altisonante nome inglese, dove il carteggio tra i due assume il respiro di un classico. Pare di spiare un epistolario di Laclos, relazioni pericolosissime, con lo stesso ritmo perfetto per stile e ironia. E ieri, al circolo Knulp sono stati festeggiati gli 80 anni dell’artista triestino, complice il nuovo libro e i molti amici che gli hanno dedicato un omaggio.


Lunga vita a Pierri, insomma, che non prevede chissà che cambiamenti per il futuro della sua necropoli: «La nostra ridente necropoli continuerà bottegaio-turistica al canto di “viva là e po’ bon”. Ma io, parafrasando Schnitzler, amo la mia città non perché è la mia città, ma perché è bella». Lui che la città la conosce bene, dai tempi di Pittoni appunto: «Altri tempi, ma sempre le stesse storie. Era l’epoca di Saba, Giotti, Rosso, Miniussi per restare nel letterario. Tempi in cui non si pubblicavano milioni di libri. E una critica notevolmente dotta. Non sono unicamente un lodatore dei tempi passati. Le indicazioni sui contemporanei si leggono nei miei scritti. Anita Pittoni era intransigente. Selettiva, generosa con chi aveva talento, anche coi recalcitranti come me. “Ti te pensi solo a zogar balòn!”, diceva».


D’altra parte Pierri è l’emblema di ciò che è sempre “contro”, o che comunque non sta nelle convenzioni di un ruolo, lo dicono i suoi versi e i suoi disegni: «Ho la vocazione del disturbatore, difetto del carattere che amo e coltivo. Sansonista senza essere Sansone le pago tutte. Probabilmente sarei diventato come il fannullone Kuno Kohn, protagonista di uno dei primi Adelphi, uno dei miei pseudonimi, un mascalzone che offendeva uomini e donne, sfruttava e picchiava i più deboli. Ho sempre amato i fannulloni. Mi è difficile far l’occhiolino al potere. Mi pento soltanto di non aver avuto la determinazione di prendere a calci nel sedere i tromboni artistici, letterari, politici e non. L’artrosi ora me lo vieta».


In realtà “Ossetia” non si è privata di qualche colpo ben piazzato, ma sempre munito di elegante satira. «Ossetia nacque in difesa di Ilvio Bidorini, ingiustamente “esiliato” dai “compagni” di partito, dopo la caduta del muro. Dei nostri fu Matteo Moder (Fabio Benes), il più grande dei poeti a sentire Piero Porro, e, a rimorchio, Francesca Longo, la logorroica, irriverente giornalista-scrittrice. Tentai con altri volonterosi che non vollero mai esporsi. Ossetia lancia le sue deboli frecce unicamente verso la classe dominante e arriva agli interessati in busta chiusa». Insomma, una freccia dopo l’altra, per quanto debole, Pierri non molla mai. C’è da chiedersi com’è che il nostro impegnativo artista irriverente si sia fatto sposare: «La mia agrodolce metà, conosciuta a Treviso mentre fallivo il mio football-pallone, mi sopporta dal ’62. Dice a tutti di avermi sposato per allegria. Mai fui Adone. Ma sempre sanamente caldo. Per le signore in difficoltà sono a disposizione». Per il momento, dopo una vita di traguardi, Pierri ci terrebbe ancora a trovare “un buon critico”, oltre a «Un briciolo di senno e continuare a scrivere, a dipingere, a rompere le scatole». Tra l’altro sta per uscire un suo nuovo libro, anzi due. “Veintuber”, per Battello Stampatore, un racconto che ha per sfondo il San Marco, parla di amici e conoscenti, di intellettuali e di persone che amano passare l’intera giornata leggendo il giornale e sorbendo un caffè. E poi Asterios pubblicherà una fiaba, un’avventura dell’ amatissimo cane Otto. E qual è il verso scritto in cui più si riconosce? «Probabilmente il primo pubblicato:”Noi parrocchiani congiungiamo le mani, non solo per pregare ma anche per non dare”».


©RIPRODUZIONE RISERVATA


Riproduzione riservata © Il Piccolo