Giuseppe Zigaina, addio al pittore che faceva della realtà sogno

Morto all’ospedale di Palmanova il maestro di Cervignano: aveva 91 anni
Di Marianna Accerboni

CERVIGNANO. È morto ieri pomeriggio all’ospedale di Palmanova l’artista Giuseppe Zigaina. Aveva 91 anni. La settimana scorsa era stato ricoverato per un infarto, ma poi le sue condizioni erano migliorate e i medici avevano deciso che proprio oggi avrebbe fatto ritorno a casa. «Mio padre sembrava essersi ripreso, invece nel pomeriggio è peggiorato. Sono stata vicina a lui fino all’ultimo istante», ha detto la figlia Alessandra, giornalista nella sede Rai del Friuli Venezia Giulia.

di MARIANNA ACCERBONI

Il segno e il pensiero terreno di Zigaina, uno dei più illustri pittori e incisori del '900 italiano, si sono spenti all’improvviso ieri pomeriggio.

Rimane del grande artista e dell'intellettuale, nato a Cervignano il 2 aprile 1924, un'amplissima testimonianza, composta da opere pittoriche, disegni, calcografie e scritti, realizzati con taglio incisivo e ricchi di dettagli. Così erano il suo scrivere, la sua pittura e le sue parole: essenziali, chiari, densi, intrisi di energia, a volte percorsi da un vento inquietante.

Ricordo che la prima volta che lo incontrai fu al Teatro Rossetti di Trieste durante l'allestimento del "Calderón" di Pasolini per la regia di Giorgio Pressburger: alto, deciso, Zigaina mi parlò a lungo, con passione e precisione del suo rapporto con lo scrittore, conosciuto nel '46.

Un'amicizia che si rivelò per lui fondamentale, cui mi accennò con vivo entusiasmo, come di una linfa non ancora esaurita, anche diversi anni dopo, nel '99, in occasione di una sua importante personale al Centro d'arte e cultura Skerk di Ternova Piccola sul Carso.

Il profondo legame, sia umano che artistico, tra il pittore e Pasolini era destinato a sopravvivere alla morte del poeta: un evento dibattuto quest'ultimo, che, assieme alla vita e alla personalità dello scrittore, è stato oggetto di approfonditi articoli e saggi da parte di Zigaina, il quale per altro aveva collaborato ai suoi film e ai suoi libri, firmando in particolare nel '91 la regia della pasoliniana "Orgia" per il Teatro Nazionale di Siviglia.

Con la consueta, sottile chiarezza il pittore aveva elaborato nel saggio "Pasolini e la morte" (Marsilio, 2005) anche una sofisticata teoria, in cui sosteneva che lo scrittore avesse iniziato fin dal 1958 a concepire la propria opera come una sorta di "messa in scena" della propria vita e che pertanto la tragica meta era stata organizzata da lui stesso: un "giallo puramente intellettuale", come la definì Zigaina. «Pasolini - sosteneva, infatti, coraggiosamente - si è fatto uccidere a Ostia, offrendosi quale vittima sacrificale in una domenica del 1975, che coincideva con il 2 novembre, giorno dei Morti».

Il Friuli fu il perno della conoscenza fra i due artisti e dal Friuli prese il volo la creatività di entrambi. Per Zigaina, motivi ispiratori degli esordi furono il paesaggio e il tema del lavoro, che il pittore svolse negli anni quaranta con taglio figurativo e neorealista, linguaggio quest'ultimo, da cui si scostò nel '57 con opere come "Biciclette nel granoturco", interessandosi negli stessi anni cinquanta a composizioni di gusto postcubista, come si può notare per esempio nell'opera "Minatori" del '49. E scivolando quindi verso un realismo di taglio epico-lirico, al quale fece seguito, a partire dal 1960, con la serie dei "Generali", una più insistita libertà nella composizione, influenzata anche da suggestioni informali, come appare nel "Piccolo generale" del '60. Intorno al '65 iniziò poi a dedicarsi all'incisione, che da allora rimarrà sempre una costante d'elezione accanto alla pittura, sì da meritargli nel '74 il I Premio alla Biennale Internazionale della Grafica di Firenze.

Zigaina fu sempre sostanzialmente teso, dopo gli esordi, verso un'interpretazione del reale, fantastica e ricca di note incisive, anche se controllata, in cui il ricordo, per esempio, di suo padre l'Ariete e altre riflessioni procedono in simbiosi con l'immagine della natura, di prati, farfalle, insetti: il paesaggio-anatomia.

Con tale lessico, nell'ultimo quarantennio non ha mai mancato di affascinare pubblico e critica, esprimendo un'abilità non comune nel far danzare il segno pittorico e grafico secondo un ritmo contemporaneo, denso di energia, di tensione, di capacità interpretativa e di soluzioni inedite, raggiunte attraverso il significativo assemblaggio di più tecniche e mezzi espressivi e un uso deciso e raffinato del colore, spesso caratterizzato da contrasti cromatici travolgenti e audaci, così come lo è sovente l'impatto prospettico. Ciò appare per esempio in una tecnica mista, in cui, nell'intensa luce blu che avvolge di sera il pioppeto, si staglia una forma che ricorda un'astronave.

I suoi lavori transitano spesso dalle felici, essenziali, personalissime, a volte tenebrose rappresentazioni del paesaggio, della natura e dei suoi misteri - visti anche in rapporto all'uomo e perciò intrecciati alla sua anatomia - ad alcuni momenti scanditi da intense cesure e interventi grafici, ma la sua forte personalità si è esplicata anche in intensi oli su tela.

La sua più che settantennale attività ha vantato importanti e reiterate presenze, fin da giovanissimo, in spazi espositivi prestigiosi. Dopo la prima mostra, nel '42, appena diciottenne, a Trieste, dove la sua opera "Il girasole", plumbea e inconsueta, suscitò anche su "Il Piccolo" le lodi di Silvio Benco e Umbro Apollonio, espose nel '43 alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, poi alle Biennali veneziane, nel '66 in una sala a lui interamente dedicata, alla Triennale di Milano (cui prese parte nel '54 con un grande murale), alle Quadriennali di Roma, alla Biennale di San Paolo del Brasile e in altri fondamentali appuntamenti internazionali di arte incisoria e pittura.

Le sue visioni tra sogno e realtà, ospitate in numerosi e prestigiosi musei e gallerie europei ed estere (tra cui l'Albertina di Vienna, il Museum of Modern Art di San Francisco, la Galleria Kara di Ginevra, Palazzo dei Diamanti di Ferrara, il Museum Rupertinum di Salisburgo), il suo denso e intenso rapporto con la natura, fatto di squarci di luce e di tenebra, e quello con l'icona del padre, attraverso la quale traspare anche l'anima del leggendario poeta canadese Al Purdy, si riferiscono, sotto il profilo linguistico, a una apertura neofigurativa, conscia anche della sperimentazione informale, cosi' come della poetica espressionista e delle esperienze realiste, che lo videro fondare in prima persona nel '49 le basi del movimento realista assieme a Guttuso, Pizzinato, Maltese, De Micheli, De Grada, Treccani, Francese.

Zigaina ha saputo coniugare con grande sensibilità, con forza e tenacia, uomo e natura, tema sociale e visione introspettiva, tradizione e avanguardia, ricerca, intuizione e calibrata misura anche nell'iperbole, fondendoli in un componimento poetico dall'enfasi e dalle scelte molto personali: un intenso percorso artistico, sempre sotteso da una costante sperimentazione, che ha generato una continua e originale evoluzione, declinata nel segno di quella libertà di pensiero e creativa, che nel secondo '900 ha rappresentato forse, nel mondo artistico e culturale dell'Occidente, l'icona massima e innovatrice.

Alla fine del suo slancio vitale, come nell'amato paesaggio friulano dell'estate e nelle montagne slovene invernali dell'infanzia (dove visse, bambino, in collegio), un tramonto velato di nebbia sottile e di luce verde azzurro dorata ha certamente accompagnato i suoi ultimi momenti.

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