«Gita al faro come un film: così ho tradotto la Woolf pensando a Jane Campion»

di Elisabetta D’Erme La scrittrice inglese Virginia Woolf (1882-1941) è una di quelle meteore che attraversano la letteratura mondiale e che appaiono in isolati momenti storici grazie a irripetibili...
Di Elisabetta D’erme

di Elisabetta D’Erme

La scrittrice inglese Virginia Woolf (1882-1941) è una di quelle meteore che attraversano la letteratura mondiale e che appaiono in isolati momenti storici grazie a irripetibili congiunture socio-culturali. Virginia Woolf sarebbe infatti impensabile senza il suo back-ground vittoriano, senza un padre coltissimo e autorevole, senza i legami con intellettuali di Cambridge e il folto gruppo di amici che sarebbe poi diventato famoso col nome di Bloomsbury, il quartiere di Londra dove la maggior parte di loro scelse di vivere.

In quel mondo di letterati, artisti, di compulsivi scrittori di lettere, di instancabili conversatori, di sperimentatori di forme di pensiero e di vita alternative, tra due conflitti mondiali Virginia Woolf scrisse alcune delle pietre miliari del modernismo, come ad esempio "Mrs Dalloway" (1925) o "To the Lighthouse" (1927). La casa editrice Einaudi, propone ora una nuova traduzione di "Gita al Faro", a cura di Anna Nadotti e con una introduzione di Hisham Matar (pagg. 208 euro 9,00).

"Gita al Faro" è la storia dei signori Ramsey e dei loro otto figli in vacanza sulle coste scozzesi con un gruppo di amici. La casa sul mare, un'abortita gita al faro che campeggia all'orizzonte, sono il pretesto per descrivere e analizzare le prime crepe di un mondo che verrà spazzato via dalla Prima guerra mondiale. È un romanzo sullo scorrere del tempo, su complicate dinamiche interpersonali e sulla possibilità di riconciliarsi con un passato doloroso. Ed in occasione dell'uscita di "Gita al faro" oggi alle 17,30 la Libreria Minerva organizza un incontro in cui Anna Nadotti dialogherà con Giulia Negrello, studiosa di Virginia Woolf, e con la traduttrice Sarina Reina.

Dopo "Signora Dalloway" uscito nel 2012 Anna Nadotti ci propone ora "Gita al Faro". Cosa hanno significato per lei questi ultimi cinque anni passati a così stretto contatto con la scrittura di Virginia Woolf?

«Sono stati un'esperienza professionale e umana intensissima - risponde Anna Nadotti -. Per me le parole hanno sempre avuto grande importanza, ma traducendo Woolf hanno assunto un peso così specifico che a tratti ho temuto di soccombere. Con quel che ne consegue quanto a senso di sé».

Come già in "Mrs Dalloway" anche in questo romanzo Virginia Woolf usa tecniche narrative avanguardistiche. Sembra quasi di vedere in azione una "steady-camera" che fa zoom improvvisi da un personaggio all'altro. Che difficoltà comporta per il traduttore uno stile così cinematografico?

«Sì, è così. Credo di aver già detto in passato che ai miei occhi Virginia Woolf oltre che una grande scrittrice è una straordinaria regista - traducendola pensavo spesso a Jane Campion. Primi e primissimi piani, zoomate, campi lunghi - e flash-back contrassegnati magistralmente. La difficoltà, nel tradurre uno stile così, è che non si può smettere neppure per un istante di guardare. Esige una concentrazione assoluta. Non un solo dettaglio può sfuggire. Sono stata oltre un mese seduta a quel tavolo da pranzo (quello descritto nel capitolo 17, ndr) dove ogni commensale è un continente, e ogni sguard. o una faglia di cui va individuata l'esatta inclinazione».

Virginia Woolf visse a stretto contatto con pittori post-impressionisti come Roger Fry o la sua stessa sorella Vanessa Bell. Quanto di quella temperie artistica si può ritrovare nel grande affresco di "Gita al Faro"?

«Prima parlavo dello sguardo allenatissimo di Virginia Woolf, certo potenziato dall'ambiente pittorico di Bloomsbury; ma nel mare al di là della finestra, nel mare su cui si affaccia il faro venerando, io - e tutto sommato credo anche lei - ho visto soprattutto Turner. Penso ad esempio al quadro Pescatori in mare che mi sembra di rivedere alle pagine in cui il vecchio marinaio Macalister racconta la tempesta: "... e guardando ciò che gli indicava Macalister, si compiaceva al pensiero della burrasca e della notte buia e dei pescatori in lotta con le onde e col vento. Gli piaceva che gli uomini faticassero e sudassero sulla battigia ventosa durante la notte..."».

Virginia Woolf è stato il prodotto dell'"aristocrazia intellettuale" inglese di fine '800, eppure in "Gita al Faro" la cesura delle Grande guerra sembra aprire uno squarcio su altre realtà. Penso ad esempio alle pagine che la Woolf dedica alle donne di servizio dei Ramsey...

«Le sono grata di questa domanda, perché ri-ri-rileggendo Gita al Faro ho compreso meglio e apprezzato enormemente la breve seconda parte, "Il tempo passa", dove davvero con poche sapienti pennellate Virginia Woolf racconta un universo che la prima guerra ha demolito e insieme racconta chi dalle macerie potrà forse ricostruirlo. A questo proposito mi preme rilevare l'importanza dell'introduzione al romanzo che ha scritto Hisham Matar».

Nelle precedenti traduzioni di questo romanzo il focus era orientato sul personaggio della Signora Ramsey, o su quello della pittrice Lily Briscoe. Nella sua traduzione salta invece in primo piano il perturbante carattere del Signor Ramsey, un uomo, un padre di famiglia, un accademico, un filosofo di fama, che si aggira nella casa di vacanza... chiedendo "comprensione"... Cosa ha scatenato questo cambio di prospettiva?

«Sarei tentata di risponderle con un gioco di parole... è stato il perturbante... Ma forse preferisco affidarmi a un'immagine la cui sensualità ha accompagnato tutta la mia rilettura del romanzo - poiché una nuova traduzione è in primis una rilettura: "E di nuovo sarebbe passato oltre senza una parola se lei, in quel preciso momento, non gli avesse dato spontaneamente ciò che mai avrebbe osato chiederle, se non l'avesse chiamato e, preso dalla cornice lo scialle verde, non l'avesse raggiunto. Perché desiderava proteggerla, lei lo sapeva. Si avvolse lo scialle verde intorno alle spalle. Lo prese a braccetto"».

Il romanzo si dipana nel corso di un decennio, ma alcuni passaggi chiave sono brutalmente ridotti dalla Woolf a poche righe racchiuse in parentesi quadre... quasi incisioni nella carne viva della narrazione. Si potrebbe parlare di "cicatrici del testo"?

«Sì, sì, senz'altro. Quelle parentesi quadre sono uno dei gesti più forti di Woolf. Uno dei momenti alti della sua inquieta e compiuta scrittura modernista».

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