Ginko all’attacco a Trieste sulle tracce di Diabolik tra il Carso e Monte Grisa
Presentato a Roma il secondo capitolo del film dei Manetti Bros. che uscirà il 17 novembre che parte da un furto al Santuario mariano trasformato nel Museo della corona Armen
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TRIESTE. Nella notte di Ghenf una figura si muove furtiva sulle ripide pareti esterne del Museo della città. Poi entra con un balzo felino, il suo pugnale brilla nel buio, lanciato con precisione implacabile nel cuore del guardiano (a dispetto del “politicamente corretto”). La preziosa corona della collezione Armen, tempestata di pietre preziose, illumina l’oscurità, finché non la fa sua la nera figura del ladro inafferrabile e senza pietà, che poi vola via con un deltaplano sul golfo della città di Ghenf, le cui luci nel buio brillano come diamanti.
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L’incipit di “Diabolik – Ginko all’attacco!” (dal 17 novembre al cinema), secondo capitolo dei Manetti Bros. dedicato al fumettistico Re del terrore, ammicca a tanti classici inizi degli albi che da 60 anni, dopo 900 titoli, continuano ad appassionare i lettori italiani. Ma per i triestini il vero colpo al cuore riguarda le nostre location, che dopo il primo episodio ancora una volta, grazie al loro fascino paesaggistico o urbano, rendono questa città coprotagonista dell’omaggio a uno dei miti immortali (che rivaleggia solo con l’eterno James Bond) della cultura pop. Per Trieste ormai i film dei Manetti su Diabolik (la terza uscita sarà nel 2023) non sono prodotti come gli altri, sono il coronamento di una Belle Époque cinematografica che in questi primi anni ’20 del secolo, grazie anche all’attività della Fvg Film Commission, vede la città al centro di produzioni Netflix (“Rapiniamo il Duce” online in questi giorni), film d’autore (Salvatores, Tornatore), serie tv di successo (“La porta rossa”, “Il re” con Zingaretti).
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Così in questa saga Trieste è definitivamente l’immaginaria Ghenf nello Stato di Clerville, e il Museo del furto iniziale (dopo la Banca del primo film che era la Stazione marittima), altro non è che il Santuario di Monte Grisa, le cui linee moderniste, da sempre controverse, qui assumono un riuscito fascino iperrealista (com’è avvenuto in altri casi per il quadrilatero brutalista di Rozzol Melara). E poi qui sono sempre straordinariamente cinegeniche location quali la Strada Napoleonica con i suoi denti di roccia (inquadrati al cinema per la prima volta negli 007 all’italiana degli anni ’60), il Carso, il Porto Vecchio, gli edifici monumentali anni ’30 di Piazza della Borsa di Marcello Piacentini, dove la Jaguar di Diabolik sgomma in Galleria Protti.
Se il “Diabolik” del 2021 era stato per lo più giudicato come un’opera di rodaggio, apprezzata soprattutto per la ricostruzione degli ambienti retrò anni ’60, “Diabolik – Ginko all’attacco!” (tratto dal 16° albo del 1964) fa sentire maggiormente il brio della cifra stilistica dei fratelli Manetti. Liberi dal dover introdurre i personaggi o il contesto della saga, i due registi romani danno subito al racconto un ritmo più movimentato di situazioni, con continui cambi di scenario, mantenendo una cura particolare per la scenografia e l’oggettistica d’epoca. Dopo l’iniziale colpo al Museo della corona Armen, seguono un nuovo furto a teatro del resto della stessa collezione, il contrattacco di Ginko a incalzare Diabolik fino dentro i suoi stessi rifugi, l’arrivo di un personaggio chiave come la duchessa Altea di Vallenberg, eterna e segreta fidanzata dell’ispettore Ginko, interpretata da una divertita Monica Bellucci.
Proprio perché le storie di Diabolik sono state inventate e scritte da due donne, le mitiche sorelle milanesi Angela e Luciana Giussani, i fratelli Manetti hanno voluto dare molto spazio in questo film ai personaggi femminili, che ancora più del primo episodio non ci stanno a fare le belle statuine, a partire naturalmente da Eva Kant (Miriam Leone), ma anche la stessa Altea. “Disegnate” sulle prime in modo freddo come molto decorativi “soprammobili”, belle e sorridenti, quasi prigioniere all’interno di quella perfetta cornice anni ’60 di tutti i clichè pre-femministi, Eva e Altea ben presto si ribellano ai ruoli nei quali vogliono relegarle i loro rispettivi compagni. La Kant litiga quasi subito con Diabolik perché vorrebbe prendersi con lui una vacanza, e Altea vuole che la relazione con Ginko divenga pubblica, mentre i due maschi dell’epoca del Boom non ci pensano nemmeno, ligi su fronti contrapposti all’etica del lavoro (che le donne non devono intralciare). Sta in questi storici contrasti di genere che anticipano il #metoo, una delle due principali novità tematiche di “Ginko all’attacco!”.
L’altra, com’è evidente dal titolo, è la prevalenza stavolta del punto di vista di Ginko (un Valerio Mastandrea sempre flemmatico, ma più in palla del primo episodio). Sarà il terzo capitolo a essere narrato invece dal punto di vista di Diabolik, che in questo film non è più Luca Marinelli, ma il 33enne Giacomo Gianniotti (quasi sosia del Diabolik disegnato). Cresciuto tra Roma e Toronto, è noto ai fan di “Grey’s Anatomy” per essere stato il dottor Andrew DeLuca. Ma non ci si deve scandalizzare. Per il limitato spazio dato fin qui alla recitazione di questa icona criminale (che le sorelle Giussani ricalcavano sui tratti di Robert Taylor), in fondo è come se il fumetto avesse solo cambiato disegnatore. Ottimo infine l’accompagnamento musicale di Pivio & Aldo De Scalzi, a cui contribuisce l’inedito di Diodato “Se mi vuoi”.
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